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7 APRILE 1814: MARIA LUISA SI UNIRÀ A NAPOLEONE?

7 APRILE 1814: MARIA LUISA SI UNIRÀ A NAPOLEONE?

Quando

Aprile 7, 2023    
Tutto il giorno

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• Leggiamo, “l’imperatrice Maria Luisa” di Frédéric Masson, ed. Goupil et Cie, 1902:

In questa giornata del 7 aprile si collocano tutte le incertezze che devono, alla fine, determinare il destino di Maria Luisa e, attraverso una concatenazione di circostanze alle quali la sua educazione, la debolezza della sua anima, la fragilità dei suoi sentimenti, le esigenze della sua indole non le permetteranno di sottrarsi, la consegneranno qualche giorno inerte e inerme ai disegni che sua suocera e i ministri di Sua Maestà Apostolica le hanno riservato.

Si unirà o no all’Imperatore? Fino al 6 aprile, Napoleone non poteva desiderare che venisse. Fontainebleau era un quartier generale che da un momento all’altro doveva lasciare. Se abdicasse in favore di suo figlio, quale valore attribuirebbe alla sua parola non appena lo si vedesse riunito all’imperatrice? Se, in qualche momento, per assicurare il suo trono a questo figlio, non vedeva altro modo che la morte, la morte volontaria, poteva condannare Maria Luisa ad esserne testimone? Lei stessa può impegnarsi in un passo così imprudente, quando suo marito non glielo ordina e Joseph gli dice che le comunicazioni sono interrotte?

Galbois gliel’ha appena detto, eppure vorrebbe andare a Fontainebleau. Gli ostacoli che si oppongono al compimento di questo desiderio, il conflitto di opinioni contraddittorie del suo entourage le fanno differire il tentativo di questa riunione che è nel suo pensiero. La sua ansia è al culmine; le emozioni violente che ha provato, il pianto che diffonde continuamente, le sue dolorose insonnie, le hanno causato uno stato nervoso quasi convulsivo. Non può farsi un’idea delle passioni che agitano la Francia. Le assicurazioni che ha ricevuto da suo padre le tornano costantemente alla mente. Non riuscì a convincersi che l’imperatore d’Austria avrebbe sacrificato lei, suo marito e suo figlio.

Il suo dovere, il suo affetto, la portano a Fontainebleau; il suo interesse, la sua indolenza, la sua salute, la trattengono a Blois: eppure basta un momento perché la sua decisione sia presa e porti i suoi effetti. Tra tanti cortigiani, un essere riconoscente e fedele, come Madame de Luçay, ha abbastanza influenza per salire sull’auto preparata per questa partenza, che attende ai piedi di una scala nascosta; per Maria Luisa tutto è salvato, ma per altri tutto è perduto. In questo momento, Madame de Montebello si fa annunciare.

Subito, l’Imperatrice turbata fa entrare precipitosamente la sua signora di Atours in un gabinetto vicino, e da lì Madame de Luçay può sentire e sente fin troppo bene con quale arte perfida si riesce a cambiare la risoluzione che ha suggerito. Così come le idee possono ancora variare, la duchessa si incarica di portare un ostacolo decisivo. Essa fa avvertire di queste incertezze Schwartzenberg, con il quale è da tempo in buoni rapporti, e le chiede di porvi fine.

Da sola, Maria Luisa, sempre combattuta tra il pensiero di adempiere i suoi doveri di sposa e quello di ottenere per suo figlio un’istituzione decente, è fin troppo disposta a cedere a pareri interessati. Ciò che non vuole a nessun prezzo è consegnarsi ai Bonaparte e unirsi alla loro fortuna; ora, per i Bonaparte – Giuseppe e Girolamo, – l’interesse decisivo è di non soffrire che si allontani, sia per raggiungere l’Imperatore, sia per ritrovare suo padre, e trascinarla con loro per continuare la resistenza o per risparmiare condizioni più vantaggiose.

Se la lasciano a Blois, lei prenderà uno dei due partiti che temono. L’8 del mattino, si presentarono dunque a lei, le dissero che non c’era più sicurezza nella città, che le truppe alleate erano vicine, che bisognava partire oltre la Loira e portarvi l’assedio del governo. Rifiuta nettamente. Dichiara che non vuole lasciare Blois. Jérôme si arrabbia, quasi la minaccia. Si ritirò, trovò gente della sua casa d’onore che, approfittando dell’opportunità di separarsi fortemente dai Bonaparte e di affermare – cosa che diventerà la loro solita giustificazione – che entrarono nell’anticamera di Napoleone solo per aspettarvi l’arciduchessa, nipote di Maria Antonietta, chiamando gli ufficiali della scorta. Questi accorsero ad assicurare l’imperatrice che avrebbero obbedito solo a lei e che non le avrebbero fatto lasciare Blois contro la sua volontà.

Questa resistenza, così inusitata nell’imperatrice, ha come unico motivo “un difetto di fiducia nei suoi consiglieri” o, “nello stato d’agitazione in cui si trova, è dominata dal timore quasi fisico di un nuovo spostamento che la getterebbe nelle coincidenze di una vita errante di cui non prevede il termine?” In ogni caso, condivisa tra la volontà di non seguire i cognati e il timore di vedere arrivare Czernicheff e i tremila cosacchi di cui è stata minacciata, non pensa più a Fontainebleau; invia all’imperatore d’Austria un nuovo ufficiale, Sainte-Aularie, per pregarlo “di dargli qualche rifugio nei suoi Stati, come pure ad alcuni servitori che gli sono rimasti fedeli”.

Intende rimanere in stretta comunicazione con suo padre. ” Vi manderò quindi ogni giorno, disse, una lettera per dirvi dove sarò, e vi prego di rispedirmela ogni giorno per dirmi dove siete, in modo che io possa andare a trovarvi subito in un caso sfortunato. Tutto ciò che desidero è vivere in pace da qualche parte nei vostri stati e poter crescere mio figlio. Dio sa che gli dirò di non avere ambizioni!”
Eppure, forse a proposito di questo figlio, più certamente con un ritorno su se stessa, questa ambizione si risveglia, separando per la prima volta – sotto quali influenze, non si può dire – i suoi destini da quelli di Napoleone. A lei serve un’istituzione degna di un’arciduchessa. Per me e per mio figlio, soprattutto per quest’ultimo, scrive a suo padre, sono convinta che non vogliate darle l’Elba come unica eredità. Sono sicura che difenderà i suoi diritti e gli farà ottenere un destino migliore. Tutto ciò che desidero è che possiate vederlo; questo sfortunato bambino, che è innocente di tutte le colpe di suo padre, non merita di condividere con lui una posizione così triste. Mentre si distacca così dal vinto e gli rimprovera “tutte le sue colpe”, sembra ancora decisa a fargli visita.

“Domani mattina vado a Fontainebleau, dice, sono ancora molto malata e temo di essere ancora più malata. Ho forti dolori al petto e vomito sangue. Temo che la mia salute sia tutta turbata e ho paura di non poter intraprendere lunghi viaggi.”

Ciò che taglia il progetto, se non di riunione, almeno di corsa a Fontainebleau, sincero senza dubbio, ma rimasto allo stato di velleità e subordinato ad una salute precaria, è l’arrivo del conte Schouwalof alle due, aiutante di campo di Alessandro, nominato commissario delle potenze alleate. È accompagnato dal barone di Saint-Aignan, scudiero dell’Imperatore, cognato di Caulaincourt e amico intimo di Madame de Montebello. Schouwalof annuncia che ha la missione di guidare a Orleans l’imperatrice e suo figlio, e prende possesso delle loro persone.

Ministri, consiglieri di Stato, dame di Palazzo, ciambellani, primo scudiero, cavaliere d’onore, accorrono al municipio per cercare dei passaporti e la maggior parte si dirige verso Parigi.

La gente della Casa ha già ottenuto le sue gratifiche. L’Imperatrice ha distribuito centocinquantamila franchi alle ventitré persone del suo servizio d’onore, cinquantamila agli impiegati e ai domestici della sua casa e di quella di suo figlio, centosettantamila ai dipendenti della Casa dell’Imperatore, 80.000 ai 13.000 ufficiali e soldati della Guardia che hanno formato la sua scorta. Rimangono con lei solo coloro – quanti pochi! – che la loro dedizione trattiene, coloro che ancora obbligano una sorta di pudore, infine coloro che pretendono di svolgere un ruolo e preparano quindi, con coincidenze o viaggi, fruttuosi mercati.

Nell’ultima classe si è muti, rispettosi e afflitti; nella prima, agitati, pieni di espedienti, di pareri e di consigli; ma nella seconda, dove non ci si astiene da passi sotterranei, – testimone l’arrivo di Schouwalof, – molti mostrano apertamente la loro stanchezza, il loro dispetto e la loro cattiva volontà: Non vedo l’ora che finisca! dice apertamente Madame de Montebello. Vorrei essere tranquilla, con i miei figli, nella mia casetta della via d’Enfer!

E questa folla, tutta esultante [sic], intenerita, delirante di gioia, d’amore e d’orgoglio, si affretta ora, in questa Parigi servile, a portare ai nemici e a coloro che portano con sé simili giuramenti e proteste; carica delle sue maledizioni il nome che adorava poco fa; non ha pietà né della debolezza, né dell’infelicità, né della gloria; è codarda, è odiosa, è infame – nella memoria dell’arciduchessa, si levano i ricordi di Vienna e dei patriottici trionfi che, all’indomani di disastri senza nome, un popolo grato dedicava al suo sovrano sconfitto!

Di chi si potrebbe fidare, quando le stesse persone che Napoleone le ha dato come i più fedeli l’abbandonano o la tradiscono e aspettano solo un’occasione e la condivisione di qualche denaro per correre verso Parigi, che continuamente maledicono l’Imperatore, lo insultano e lo deridono? Quale rifugio, a parte suo padre? Quale direzione se non quella che si degnerà di dare?