Dopo il fallimento del colpo di mano di Boulogne, Louis Napoléon Bonaparte fu arrestato e incarcerato il 6 agosto 1840 nel forte di Ham. Sul muro della sua cella scrisse a carbone questa frase: “La causa napoleonica è la causa degli interessi del popolo, è la causa europea, prima o poi trionferà!”
Il 9 agosto fu trasferito a Parigi, nel carcere della Conciergerie, poi il 28 settembre, poco prima dell’apertura del processo, nel carcere del Palazzo del Lussemburgo, situato proprio dietro il Petit-Luxembourg. Su ordine di Luigi Filippo, fu portato davanti alla Corte dei Pari. Il duca Pasquier, che presiede di diritto questa Alta Corte come cancelliere della Camera dei Pari, e che deve il suo inizio di carriera a Napoleone I, lo zio dell’imputato, e molti pari, ex servitori dell’Impero, trovano questo processo molto imbarazzante. Solo 165 dei 372 membri della Camera dei Pari siederanno alle sei udienze, dal 28 settembre al 6 ottobre 1840, e solo 152, contro 160 astensioni, condanneranno Louis Napoléon.
Il principe Louis Napoléon Bonaparte appare agli occhi dei testimoni come un uomo di taglia ordinaria avente circa 5 piedi 2 pollici (1,68 m). Capelli e sopracciglia castani. Porta sul suo abito nero la placca di Grande Aquila della Legion d’onore con l’effige di Napoleone.
Al presidente Pasquier, che gli chiede la sua professione, risponde semplicemente: “Principe francese in esilio”. Poi legge una dichiarazione che sottolinea che qualsiasi governo che non risulti dalla sovranità del popolo è illegittimo. Pasquier dirige l’interrogatorio con comprensibile moderazione; durante l’audizione dei testimoni, mette in evidenza tutto ciò che è favorevole all’imputato. Al contrario, il procuratore generale Franck Carré si mostra molto scortese: “La spada di Austerlitz è troppo pesante per le tue mani stupide”.
I suoi due avvocati, Marie, il repubblicano, e Berryer, realista ardente e rappresentante in Francia del conte di Chambord, il nipote di Carlo X, ricordano alla Corte che la sovranità può essere delegata solo da una manifestazione della volontà nazionale.
Riferendosi al ritorno delle ceneri di Napoleone I, Berryeraggiunge abilmente: “Vogliamo farvi pronunciare una sentenza contro il nipote dell’Imperatore, ma chi siete voi? Conti, baroni, voi che siete ministri, generali, senatori, marescialli, a chi dovete i vostri titoli, i vostri onori? In presenza degli impegni che vi sono imposti dai ricordi della vostra vita, dei benefici che avete ricevuto, dico che una condanna sarebbe immorale!”
Certo è difficile colpire il nipote dell’eroe, le cui ceneri salgono verso la Francia con una pena infamante, come la deportazione a vita o una detenzione da cinque a venti anni. Non può essere presa in considerazione una pena detentiva fino a cinque anni. Tuttavia, la Corte deve impedire al principe di rinnovare i suoi tentativi di presa di potere.
Così, il 6 ottobre, inaugurò una pena “nuova” e condannò “il principe Charles Louis Napoléon Bonaparte all’imprigionamento perpetuo in una fortezza situata sul territorio del regno”. La Corte condanna allo stesso tempo Aladenize alla deportazione, Victor de Persigny, Charles-Tristan de Montholon, Denis-Charles Parquin e Lombard a vent’anni di detenzione.
Mentre il cancelliere gli fa lettura della sentenza, Louis Napoléon, sempre fiducioso nel suo destino, si accontenta di citare suo zio: “Signore, si diceva un tempo che la parola impossibile non era francese; oggi si può dire lo stesso della parola perpetua”. E anche “E quanto dura in Francia, la perpetuità?” Il futuro gli darà ragione…