Domenica 6 dicembre 1812, l’Imperatore arriva finalmente a mezzogiorno a Vilna. Nella notte il termometro scende a -28. Lì incontra Bassano, mentre il suo grande esercito soffre, intrappolato nel freddo gelido russo.
• Leggiamo la testimonianza del tenente Danel, 24 anni:
“Ero solo in mezzo a una moltitudine smarrita e affamata, non potendo sostenermi a cavallo. Tanto ero debole a causa di una malattia delle viscere, essendo costretto a tenermi sullo stomaco le braccia da un lato e le gambe dall’altro, lasciando al mio cavallo il compito di seguire alla sua volontà la colonna di soldati disarmati e demoralizzati, in mezzo ai quali passai una notte crudele, non potendo parlare comprensibilmente. (…)
Soccombendo all’influenza di pensieri sinistri, mi fermai, determinato a porre fine a una situazione tanto penosa. Seduto su un poggio, sul bordo della strada, le redini del mio cavallo passate nel braccio sinistro, una pistola nella mano destra, aspetto per eseguire il mio progetto di distruzione. (…) Le mie lacrime scorrevano. Le lance dei cosacchi apparivano sul tumulo che dominava la strada; li vedevo arrivare con calma e rassegnazione, non volendo ancora compiere la mia opera.
All’improvviso, un colonnello che scendeva da quel monticello al galoppo, vedendomi in completa immobilità, si diresse verso di me e disse: “Che ci fai qui, ufficiale? Presto, a cavallo!” Lo esamino senza muovermi e riconosco il coraggioso colonnello Robert, aiutante di campo del generale Belliard. Mi riconobbe lui stesso e mi disse, vedendo la mia pistola in mano: “Cosa stavi per fare, sfortunato?” Aveva indovinato le mie intenzioni. “Ah! È terribile, tu, Danel, un coraggioso soldato che ha mostrato tanta energia e abnegazione, finire così la tua onorevole carriera. Ah! È indegno di voi…, andiamo”.
Danel era entrato nell’esercito nel 1806 nei gendarmi di ordinanza a cavallo della Guardia imperiale. Nel 1812 fu tenente del 9º reggimento ussari. Partecipò alla battaglia di Waterloo come aiutante di campo del generale Lebrun. Morì nel 1854.
• Il Sergente Borgogna:
Il 5 partimmo di giorno. Seguimmo più di diecimila uomini che camminavano confusamente e senza sapere dove andavano. Attraversammo molti luoghi paludosi, dove probabilmente tutti perirono, senza le forti gelate che consolidavano il terreno cattivo su cui camminavamo. Chi era costretto a fermarsi non faticava a ritrovare la strada, perché il numero di uomini che cadevano per non rialzarsi poteva servire da guida. Arrivammo, quando era ancora giorno, a Breenitza, dove l’Imperatore si era coricato. Fummo più felici del giorno precedente: trovai un po’ di farina da comprare; facemmo della pappa, ma non ebbi la fortuna di trovare una casa o un tetto; fummo costretti a dormire per strada.
Dopo aver passato di nuovo quella brutta notte senza dormire, con tanto freddo, partimmo per andare a Smorgony. Seguendo la strada, la vedemmo ricoperta dei vari corpi di alti ufficiali, come pure di nobili dello Squadrone e del Battaglione Sacro, coperti di brutte pellicce, di cappotti bruciati o condivisi con un amico, magari con un fratello. Una gran parte camminava appoggiata su un bastone d’abete; avevano la barba e i capelli coperti di ghiaccio; si vedeva che, non potendo più camminare, guardavano, fra gli sventurati che coprivano la strada, se non vi fossero reggimenti che essi comandavano quindici giorni prima, per ottenerne un aiuto, dando loro il braccio o altro: chi non aveva la forza di camminare era un uomo perduto.
Strade come bivacchi, come un campo di battaglia: tanti erano i cadaveri. Cadeva molta neve, rendendo il quadro meno sinistro da vedere. D’altronde, eravamo diventati spietati; insensibili per se stessi, a maggior ragione per gli altri. L’uomo che cadeva e implorava una mano d’aiuto non veniva ascoltato. È così che siamo arrivati a Smorgony; era il 6…