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6 APRILE 1814: NAPOLEONE RINUNCIA, PER SÉ E LA SUA FAMIGLIA, AI TRONI DI FRANCIA E D’ITALIA

6 APRILE 1814:  NAPOLEONE RINUNCIA, PER SÉ E LA SUA FAMIGLIA, AI TRONI DI FRANCIA E D'ITALIA

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Aprile 6, 2023    
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• Leggiamo la famosa “Storia popolare, aneddotica e pittoresca di Napoleone e della Grande Armata”, di Émile Marco de Saint-Hilaire

Dopo aver vegliato gran parte della notte nel suo gabinetto, Napoleone aveva preso la mattina un po’ di riposo; non era uscito dal palazzo ed era rimasto costantemente seduto nel vano. La sua carnagione era di piombo ed era segnato da un disordine che non era nelle sue abitudini. Teneva meccanicamente tra le mani un volume semplicemente rilegato, il “Compendio delle Guerre di [Giulio] Cesare”, quando un ufficiale del palazzo aprì dolcemente la porta:
– Cosa? chiese Napoleone.
– Sire, è monsignor il duca di Vicenza [Caulaincourt] con LL. EE. i marescialli il principe della Moskowa [Ney] e il duca di Taranto [Macdonald].

Si alzò e andò incontro a loro. Il duca di Vicenza parla per primo. Racconta come la defezione di Marmont abbia dovuto cambiare tutte le combinazioni diplomatiche; come Fontainebleau abbia cessato di essere una posizione militare; infine, non è più di Napoleone che non si vuole, è la sua intera dinastia. A questa notizia l’Imperatore si erge fiero:
– Troppe umiliazioni! esclama. Vogliono spingermi al limite! Bene! Basta con i negoziati, il destino si compia!

Napoleone continua a parlare, come padrone assoluto, come padre, come soldato, come imperatore. Il gigante, troppo a lungo imbrattato dagli ostacoli di cui è imbarazzato, riprende tutta la sua altezza, tutta la sua energia. Cammina a grandi passi, e continua, con quella voce che tante volte ha ricordato la fortuna delle battaglie:
– Sì! Combatteremo, e certamente trionferemo ancora, nonostante il tradimento! Soult mi riporta cinquantamila soldati; Suchet lo raggiungerà con i suoi quindicimila uomini dell’esercito della Catalogna; Eugenio farà un movimento sulle Alpi con i suoi trentamila italiani. Ho ancora i quindicimila uomini di Augereau, le guarnigioni di confine e l’intero esercito del maresciallo Maison. Tutto questo formerà una massa invincibile! Dobbiamo andare incontro a questi rinforzi e manovrare sulla Loira: è lì che Carlo Martello ha liberato il suo paese, è lì che libereremo il nostro! Signori! Ancora una volta, con un gesto sublime sulla guardia della sua spada, il grande esercito è ricostituito!

Le parole così eloquenti che Napoleone ha appena pronunciato non hanno trovato eco nemmeno nel cuore di coloro che sono votati alla sua causa. I plenipotenziari rimasero impassibili in presenza di tanto entusiasmo. Macdonald rispose con calma:
– Sire, le circostanze hanno assunto una gravità tale che non permette di prendere una posizione senza averne soppesato tutte le possibilità; supplichiamo Vostra Maestà di riflettere.
– Ci ho riflettuto! risponde Napoleone. Il leone non è ancora morto.

Non appena si apprende a Fontainebleau la rottura dei negoziati, nelle gallerie del palazzo si sente un’esplosione di grida, di rimproveri, di minacce. A chi volgerà lo sguardo verso la capitale, a chi inventerà pretesti per andare a Parigi; questi per rassicurare la moglie; questi per mettere al sicuro la loro fortuna; alcuni per l’interesse del loro corpo d’armata; la maggioranza per negoziare la loro defezione e stipulare le clausole della loro nuova fedeltà ai Borboni.

Nel frattempo, i russi e gli austriaci avanzano e stringono intorno a Fontainebleau il piccolo esercito imperiale. Questa manovra degli alleati funge da obiezione per i tremori che vogliono solo disertare; esagerano le forze nemiche e predicono i risultati più pericolosi. Napoleone ascoltò tutte queste parole, ridusse queste fantasie al loro giusto valore, e promise, a tempo debito, di sfondare la rete di ferro di cui era circondato.
– Una strada chiusa, dice, si apre presto davanti a cinquantamila baionette!

Tuttavia egli stesso è indeciso; gli ripugna di fare una guerra di partigiani. Lui che terminava tutte le sue campagne in pochi mesi, lui che conquistava un regno con una sola grande battaglia, provava una sorta di vergogna a manovrare solo su una piccola scala, a muovere solo una manciata di uomini. In mezzo a tutte le perplessità che vengono ad assalirlo, deve tuttavia prendere un partito decisivo; ma prima vuole mantenere un’ultima volta i suoi marescialli. Ha subito l’influenza del trono, spera di trovare sostegno nei grandi feudatari della corona; in una parola, vuole sapere se la sua causa, se quella della sua famiglia, sono ancora la causa della Francia – poi si deciderà.

I marescialli sono stati convocati. Napoleone va incontro a ciascuno di loro in particolare, e lo accoglie con questa distinzione in modi, questa nobiltà di linguaggio, che hanno sempre imposto anche ai sovrani i suoi pari. Ney e Berthier arrivano ultimi.  Appena seduto, inizia una conversazione generale attraverso luoghi comuni; poi, rivolgendosi in particolare al principe di Wagram [Berthier], gli chiede con una sorta di bonomia se ha notizie della marcia degli alleati.

Questi rispose che aveva inviato in ricognizione ufficiali di stato maggiore su tutti i punti, e che i loro rapporti erano unanimi: il nemico aveva decisamente preso posizione intorno a Fontainebleau. Ma i marescialli, forti della rassegnazione di Napoleone, non sono venuti per limitarsi ad annunciargli solo cattive notizie: sono venuti a cercare la sua abdicazione assoluta. Ney, il primo, affronta questa delicata questione tracciando con energia la deplorevole situazione della Francia, e completa il quadro chiedendo all’Imperatore quali sono i suoi mezzi per salvare la patria.

Subito, senza lasciare il tempo a Napoleone di rispondere, ognuno esprime la propria opinione; la discussione si anima, si incrociano le interpellanze più vive, s’avviano rumorosi colloqui. In mezzo a questo miscuglio di parole, l’atteggiamento dell’Imperatore è ammirevole di sangue freddo e di dignità: tace; ma quando la tranquillità si è un po’ ristabilita, prende finalmente la parola, riassume in poche parole tutto ciò che è stato detto, e termina riproducendo le condizioni imposte dagli alleati.
– Quanto al sacrificio personale che mi si chiede, aggiunge, io sono rassegnato; ma acconsentire a togliere a mia moglie e a mio figlio una corona che io ho conquistato con le mie opere, mai, signori!

Anche se un triste silenzio accoglie questa comunicazione, Napoleone, sempre calmo, conta le forze che gli restano e di cui può fare uso, non per eternizzare la guerra, ma per vendicare l’onore della Francia:
– È uno di voi, esclama, mai disposto a lasciarla alla mercé di persone che non vogliono altro che soffocare, a loro vantaggio, i nostri gloriosi lavori? Beh! se dobbiamo rinunciare a difendere più a lungo la Francia, riprende alzando la testa, l’Italia non ci offre una pensione degna di voi e di me? Non è questa la terra dei miracoli? Volete seguirmi ancora una volta? Credetemi, signori, camminiamo verso le Alpi!
Questa proposta eroica non è accolta meglio delle precedenti. E tuttavia se Napoleone l’avesse fatta qualche passo più avanti, nel salone di servizio affollato da tutti i giovani generali, sarebbe stata accolta con entusiasmo, con felicità; nelle file dell’esercito, sarebbe stata salutata con questo bollente ardore del 1792. Ma Napoleone si è rivolto solo a uomini che, la maggior parte, non hanno altra ambizione che conservare i loro onori, le loro ricchezze.

L’Impero crollerà, cosa importa? Nonostante l’indifferenza di tanti uomini che ha cresciuto così in alto con il suo genio, Napoleone non lascia trasparire alcun sentimento di rabbia e sembra prenderli in pietà:
– Volete riposare? disse allora; fate pure! Ahimè! Non sapete quanti dolori e pericoli vi aspettano sui vostri letti di piumino! Alcuni anni di questa pace che pagherete cara.

Queste parole di Napoleone ai marescialli dovevano essere profetiche, poiché Berthier, Murat, Ney, Massena, Augereau, Lefèbvre, Brune, Serrurier, Kellermann, Pérignon, Beurnonville, Clarke e tanti altri, scomparvero in meno di sette anni e lo precedettero nella tomba.

Durante tutta questa scenata, l’Imperatore non raccolse una parola di simpatia. Davanti al benefattore, alla presenza del sovrano, quasi tutti i cuori rimasero freddi. Interroga con lo sguardo chi lo circonda: tutti gli occhi sono abbassati, tutte le bocche sono mute. Una rivoluzione improvvisa avviene a questa vista nella sua anima; essa si manifesta all’esterno solo con un estremo pallore e un leggero sussulto in tutti gli arti. Si asciuga la fronte, che inonda un sudore gelido, e si alza:
– Signori, disse con voce vibrante, ora so a cosa mi aggrapparò; voglio essere solo. Voi, Duca di Vicenza, rimanete.

E quando l’ultimo dei marescialli ha varcato la porta, lacera con un’ira concentrata il fazzoletto di Batista che tiene in mano, dicendo a Caulaincourt:
– Vedete! Queste persone non hanno, per la maggior parte, né cuore né viscere. Ho parlato loro di mia moglie, li ho implorati per mio figlio: niente! Sì, cedo, perché sono sconfitto; ma non è per la fortuna, è per l’egoismo e l’ingratitudine di coloro per i quali ho fatto tutto. Oh! È orribile! Li perdono, ma la storia sarà meno generosa di me.

E pronunciando queste parole si lascia cadere come annientato nella poltrona che è davanti alla sua scrivania, prende una penna, e scrive il nuovo atto di abdicazione che si attende; lo formula così:
“Dopo che le potenze alleate avevano proclamato che l’imperatore Napoleone era l’unico ostacolo al ristabilimento della pace in Europa, l’Imperatore, fedele al suo giuramento, dichiara di rinunciare, per sé e per i suoi figli, ai troni di Francia e d’Italia, e che non vi è alcun sacrificio, anche quello della vita, che non sia disposto a fare agli interessi della Francia.
Fatto al palazzo di Fontainebleau, l’11 aprile 1814.”

Dopo aver apposto la sua firma, lo legge a Caulaincourt.
– È questo? gli chiede poi. Il duca di Vicenza non aveva preso parte alle discussioni che avevano appena avuto luogo. Aveva ascoltato in una sorta di raccoglimento l’Imperatore, così nobile, così grande, rivolgendosi invano all’onore, alla riconoscenza dei suoi luogotenenti. Con il cuore spezzato, non poté rispondere che queste parole con una voce intervallata:
– Sire, non c’è niente nella storia che possa essere paragonato al sacrificio che sta facendo Vostra Maestà.
– Abdico e non cedo, rispose Napoleone, chiama Ney e Macdonald.

Napoleone fa ripetere dal principe della Moskowa [Ney] tutto ciò che l’imperatore Alessandro gli ha detto in ultimo. – So, mio caro maresciallo, quanto avete fatto per me in questa circostanza, dice a sua volta Napoleone; so con quale calore avete difeso la causa di mio figlio, dell’esercito; ma poiché esigono la mia abdicazione pura e semplice, eccola. È a lei, signor principe della Moskowa, con Caulaincourt, che affido ancora una volta i miei poteri. Difenderai gli interessi della mia famiglia…