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5 APRILE 1814: DEFEZIONE DI MARMONT

5 APRILE 1814: DEFEZIONE DI MARMONT

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Aprile 5, 2023    
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Il 2 aprile 1814, Marmont, posizionato a Essonnes all’avanguardia dell’esercito francese, ricevette le congratulazioni dell’Imperatore, che poi tornò a Fontainebleau. Lo stesso giorno, Marmont apprese della caduta di Napoleone e della creazione di un governo provvisorio, diretto da Talleyrand, che gli inviò diverse lettere per cercare di staccarlo da Napoleone.

Il 3 aprile Marmont contattò i rappresentanti del governo provvisorio. Disse loro che voleva abbandonare Napoleone e unirsi a loro. In serata annunciò ai generali ai suoi ordini, venuti uno ad uno, il suo progetto di spostare il suo corpo d’armata in Normandia, di metterlo a disposizione del governo provvisorio, e di distaccarlo dal comando di Napoleone.

Il 4 aprile, Marmont preparò, con il generale austriaco Schwartzenberg, un trattato segreto secondo il quale l’esercito coalizzato avrebbe lasciato passare il giorno successivo, 5 aprile al mattino, il suo corpo d’armata attraverso le sue linee per permettergli di raggiungere la Normandia…

• Leggiamo 1814, di Henry Houssaye

Tra le sei e le sette di sera, quando la notizia dell’abdicazione era stata appena comunicata alle truppe, che l’avevano accolta con grande agitazione, un ordine di Berthier a Marmont, invitandolo a recarsi immediatamente dall’imperatore, era arrivato a Essonnes. In assenza del duca di Ragusa, il capo di stato maggiore Meynadier trasmise il messaggio al generale Souham. Questo ordine, che non aveva nulla di personale a Marmont, poiché le stesse istruzioni erano rivolte a tutti i comandanti di corpi d’armata e divisioni indipendenti, cominciò a preoccupare Souham.

La sua preoccupazione si trasformò in terrore, quando seppe che un ufficiale dell’ordine dell’imperatore, il capo squadrone Gourgaud, chiedeva di parlargli. Nella sua confusione, Souham dimenticava che era consuetudine al quartiere imperiale inviare gli ordini in doppia spedizione: per iscritto, poi verbalmente. Souham rifiutò di ricevere Gourgaud. Il generale portava con sè un segreto troppo pericoloso per sentirsi al sicuro. Immaginò che tutti, e l’imperatore per primo, conoscessero la colpa di Marmont e dei suoi luogotenenti, e che Napoleone lo mandasse a Fontainebleau, in mancanza del duca di Ragusa, per farlo arrestare.

Mi farebbe fucilare, il b….! disse ai generali che radunò subito. Meynadier, Digeon, Ledru Desessarts, Bordessoulle, Merlin, Joubert, – Lucotte non fu avvertito, e del resto era rimasto al suo posto – si sentivano complici allo stesso grado di Souham. Hanno condiviso il suo terrore. Il maresciallo, dice Souham, si è messo al sicuro a Parigi. Sono più alto di lui, non sono in vena di essere accorciato.

Si decise che, seguendo l’esempio di Marmont, bisognava mettersi al sicuro. I generali potevano fuggire. Alla diserzione preferirono la defezione. Fu dato ordine a tutte le truppe, fanteria, cavalleria, artiglieria, equipaggi, di prendere le armi. Souham inviò un ufficiale al principe di Schwarzenberg per avvertirlo dell’esecuzione del movimento progettato. Come si pensa, il generale in capo degli eserciti alleati si prestò di buona grazia.

Fabvier conosceva i disegni che il suo capo aveva concepito e ai quali sembrava aver rinunciato. Risvegliato dal rumore della presa di armi, non dubitò che non ci si fosse disposti a passare inosservati al contro-ordine del maresciallo. Raggiunse Souham e lo interpellò vivamente, così come gli altri generali, scongiurandoli di rimanere a Essonnes fino al ritorno del duca di Ragusa, o almeno fino alla ricezione di un nuovo ordine che si offriva di andare a prendere. Mal accolto dai suoi superiori, che gli imposero silenzio, Fabvier saltò in sella e partì al triplo galoppo per Parigi per avvertire il maresciallo. Attraversò senza fatica le linee nemiche. Già Marmont era troppo ben noto perché il titolo di aiutante di campo del duca di Ragusa non fosse il migliore dei salvacondotti.

Le truppe si mossero prima di mezzanotte. Marciarono inizialmente senza alcuna diffidenza, credendo di andare ad occupare nuove posizioni. Agli ufficiali veniva dato l’ordine di stare esattamente nei loro posti regolamentari e di mantenere il più rigoroso silenzio nei ranghi. Questa precauzione impediva a tutti di comunicarsi le proprie preoccupazioni. D’altronde le vedette e gli avamposti nemici si ritiravano da entrambi i lati della strada all’avvicinarsi dei francesi.

Il capitano Magnien, vice del personale, Combes, allora tenente-aiutante-maggiore, e alcuni ufficiali, tuttavia, ebbero dei sospetti. Lasciarono la colonna e ripassarono l’Essonne. Alla retroguardia, uno squadrone di lancieri polacchi girò la briglia. Arrivati vicino a Juvisy, i soldati cominciarono a meravigliarsi del rumore di armi e cavalli che udivano alla loro destra e alla loro sinistra. Pensarono fosse della cavalleria francese.

All’alba, che sorpresa! Eravamo nelle linee nemiche. I corazzieri russi cavalcavano su entrambi i lati della colonna, gli austriaci e i bavaresi prendevano le armi alla testa dei bivacchi e restituivano ai francesi gli onori militari. Sussurri, grida di tradimento scoppiarono nelle file; fischi accolsero i generali che tentarono di calmare l’effervescenza. Ma le truppe erano in colonne e circondate da nemici, non potevano concertarsi sul partito da prendere. Ogni sezione era isolata. Poi, il soldato è ingenuo come il bambino. Ci si immaginava che ci saremmo uniti agli austriaci per mantenere l’imperatore sul trono. Gli sfortunati soldati continuarono la loro marcia verso Versailles.

La causa dei Borboni era vinta. La defezione del sesto corpo disarmava Napoleone, fisicamente e moralmente. Divenne impossibile per lui combattere un’ultima battaglia sotto Parigi, e i suoi mandatari non avevano più motivo di invocare la volontà dell’esercito. Che cosa erano le parole davanti al fatto di un corpo intero che disertava? Tutte le esitazioni dello Zar caddero. Lo vedete, dice con tono ispirato a Pozzo di Borgo, è la Provvidenza che lo vuole. Si manifesta, si dichiara. Nessun dubbio, nessuna esitazione. Per Alessandro, l’impero aveva ormai compiuto i suoi destini.

Quello stesso giorno, 5 aprile, verso le nove del mattino, Caulaincourt, Ney e Macdonald furono nuovamente ricevuti dallo zar. Il re di Prussia era con lui. Federico Guglielmo, nella sua buona grazia tudesca, cominciò ad apostrofare i marescialli, dicendo che i francesi avevano fatto la disgrazia dell’Europa. Alessandro lo fermò: Mio fratello, disse, non è il momento di tornare al passato. Poi, affrontando il tema stesso della conferenza, dichiarò chiaramente che lui e i suoi alleati non potevano ammettere l’abdicazione di Napoleone in favore di suo figlio. Chiedevano un’abdicazione pura e semplice. Quanto all’imperatore Napoleone, avrebbe mantenuto il titolo con il quale era generalmente conosciuto e avrebbe avuto la sovranità dell’isola d’Elba.
Caulaincourt e i due marescialli non si aspettavano che la rivitalizzazione dello Zar, poiché anche loro conoscevano l’abbandono di Essonnes da parte del sesto corpo. La sua aria smarrita, le sue parole ansimanti tradivano la sua confusione. Non risparmiarono i rimproveri al duca di Ragusa. Si dice che a queste parole di Marmont: “Darei un braccio perché non fosse successo”, Macdonald replicò duramente: “Un braccio? Signore! Non sarebbe abbastanza”.

Forse Marmont aveva allora qualche rimorso. Ma le sue velleità di coscienza caddero presto davanti alle congratulazioni dei membri del governo provvisorio. Se il duca di Ragusa avesse sentito la vergogna di cui lo avrebbe coperto per sempre la defezione di Essonnes, non avrebbe perso un’ora per raggiungere il suo corpo d’armata e riportarlo nelle linee francesi sulla strada di Rambouillet, che era ancora libero: Se temeva di esporre i suoi soldati a un combattimento con le masse di cavalleria nemica che sarebbero state inviate per inseguirli, doveva correre a Fontainebleau, gettarsi ai piedi dell’imperatore e portargli la sua testa, come si era promesso il giorno prima.

Napoleone, senza dubbio, avrebbe perdonato il suo pentimento, e se non Napoleone, la posterità. Ma il duca di Ragusa aveva troppo orgoglio per umiliarsi. Quello che aveva fatto era ben fatto. Aveva salvato la Francia, il suo crimine era un’azione di splendore. Egli provocò l’inserimento della sua corrispondenza con Schwarzenberg, e mise questo proclama all’ordine del suo corpo d’armata: “È l’opinione pubblica che dovete seguire, ed è lei che mi ha ordinato di strapparvi da pericoli ormai inutili”.

Il 5 aprile 1814 verso le quattro del mattino i generali si misero quindi in marcia con le loro truppe e si fecero avanti nella notte nel mezzo dell’esercito nemico. Mentre la maggior parte degli ufficiali viene informata del vero scopo della marcia, i soldati sono convinti di manovrare per combattere il nemico.

All’alba, i soldati francesi del sesto corpo scoprono tutto intorno a loro gli eserciti nemici. C’è un profumo di tradimento! Gli ufficiali, che erano nel segreto della slealtà, sono costretti ad essere protetti dai loro soldati dai nemici! Il sesto corpo si ferma nel pomeriggio a Versailles. Si sollevano, vogliono combattere, sì, vogliono raggiungere l’Imperatore!

Marmont, a Parigi, viene a sapere delle rivolte di Versailles. Si recò subito lì e dopo poche ore riuscì a calmare le sue truppe e a far rientrare le loro caserme. Poi torna a Parigi e ne riferisce direttamente al capo del governo provvisorio, Talleyrand, che si congratula con lui.

Il 6 aprile Marmont firmò con il generale Schwarzenberg una convenzione retrodatata al 4 aprile. Perché retrodatare questa convenzione? L’abdicazione provvisoria di Napoleone, del 4, non è una capitolazione o una cessazione delle ostilità. L’azione di Marmont del 5 non è altro che un tradimento, passibile di corte marziale. Con la retroazione, Marmont spera di dargli un carattere un po’ più regolare.

Per tutta la vita, e anche dopo, incolperemo Marmont per questo evento. Per quasi un secolo la parola “raguser” (Marmont è duca di Ragusa), sarà sinonimo di tradimento. Invece di dire “tradimento, tradimento”, diremo “raguser, ragusade”. La sua defezione dall’Essonne e le condizioni della sua adesione a Luigi XVIII contribuirono fortemente al rifiuto popolare dei Borboni, e contribuirono indirettamente al ritorno di Napoleone durante i Cento giorni.