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4 OTTOBRE 1812: STENDHAL, TESTIMONE DELL’INCENDIO DI MOSCA

4 OTTOBRE 1812: STENDHAL, TESTIMONE DELL'INCENDIO DI MOSCA

Quando

Ottobre 4, 2022    
12:00 am

Event Type

• Lettera di Stendhal a Felix Faure, a Grenoble

Mosca, 4 ottobre 1812. Ho lasciato il mio generale [il generale Mathieu Dumas] cenare al palazzo Apraxine. La casa era molto vivace. Ho preso mal di denti in questa spedizione. Abbiamo avuto la fortuna di arrestare un soldato che aveva appena dato due colpi di baionetta ad un uomo che aveva bevuto della birra; ho dovuto tirare fuori la spada ed ero sul punto di colpire quelmascalzone. Bourgeois l’ha condotto dal governatore.

Mi coricai, tormentato dal mal di denti. Pare che molti di questi signori ebbero la bontà di lasciarsi allarmare e di fuggire tra le due e le cinque. Quanto a me, mi svegliai alle sette, feci caricare la mia auto e la feci mettere in coda a quelle del Sig. Daru.

L’incendio si avvicinava rapidamente alla casa che avevamo lasciato. Le nostre auto rimasero cinque o sei ore sul viale. Annoiato da questa inerzia, andai a vedere l’incendio e mi fermai per un’ora o due da Joinville. Ammirai la voluttà ispirata dall’arredamento della sua casa; insieme a Gillet e Buschebevemmo tre bottiglie di vino che ci resero la vita. Vi lessi alcune righe di una traduzione inglese della Virginia che, in mezzo alla grossolanità generale, mi rese un po’ di vita morale.

Andai con Louis [Joinville] a vedere l’incendio. Vedemmo un uomo di nome Savoye, cannoniere a cavallo, ubriaco, che sferrava colpi di sciabola a un ufficiale della guardia e lo riempiva di sciocchezze. Si sbagliava e fu costretto a chiedere perdono. Uno dei suoi compagni di saccheggio si affondò in una strada in fiamme, dove probabilmente morì. Vidi una nuova prova del poco carattere dei francesi in generale. Luigi si divertiva a calmare quest’uomo, a vantaggio di un ufficiale della guardia che lo avrebbe messo in imbarazzo alla prima rivalità; invece di avere per tutto questo disordine un meritato disprezzo, si esponeva ad appendere sciocchezze per suo conto. Per quanto mi riguarda, ammiravo la pazienza dell’ufficiale della guardia; avrei dato una sciabolata sul naso di Savoye, che avrebbe potuto fare un affare con il colonnello. L’ufficiale reagì con più cautela.

                                                                   

Alle tre tornai alla colonna delle nostre macchine e ai tristi colleghi. Avevano appena scoperto nelle case di legno vicine un negozio di farina e un negozio di avena; dissi ai miei domestici di prenderli. Si mostrarono molto indaffarati, sembravano prenderne molto, ma in realtà si limitarono a poco. Così agiscono in tutto e ovunque nell’esercito; questo causa irritazione. Anche se non ci interessa, visto che vengono sempre qui a urlare miseria, finiamo per diventare impazienti e io passo giorni infelici.

Tuttavia, sono meno impaziente di qualcun altro, ma ho la sfortuna di arrabbiarmi. Invidio alcuni dei miei colleghi che, a mio avviso, sono incapaci ad arrabbiarsi veramente; alzano la voce e basta.               Scuotono le orecchie, come mi diceva la contessa Palfy. «Saremmo molto infelici se non facessimo così», aggiungeva. Ha ragione; ma come mostrare una simile rassegnazione con un’anima sensibile.

Verso le tre e mezzo, Gillet ed io andammo a visitare la casa del Conte Pierre Soltvkof; ci parve adatta a S. E. Andammo al Cremlino per avvertirlo; ci fermammo dal generale Dumas, che domina il crocevia. Il generale Kirgener disse davanti a me a Louis: «Se mi vogliono dare quattromila uomini, mi faccio forte:in sei ore, il fuoco sarà fermato.» Questa affermazione mi colpì. (Dubito del successo. Rostopchine continuava ad accendere il fuoco; l’avrebbero fermato a destra, l’avrebbero ritrovato a sinistra, in venti punti diversi e così via).

Vedemmo arrivare dal Cremlino Mr. Daru e il gentile Marigner; li portammo all’hotel Soltykoff, visitato da cima a fondo. Il sig. Darutrovò degli inconvenienti a casa Soltykoff e fu incaricato di andare a vedere altri al club. Vedemmo il club, ornato nel genere francese, maestoso e fumoso. In questo genere, non c’è niente di paragonabile a Parigi. Dopo il club, vedemmo la casa vicina, grande e bella; infine, una bella casa bianca e quadrata, che decidemmo di occupare.

Eravamo molto stanchi, io più di chiunque altro. Da Smolensk, mi sento completamente privo di forze. Ebbi l’incoscienza di mettere interesse e movimento in questa ricerca di case. Interesse è una parola troppo grande, ma comunque molto movimento. Finalmente ci sistemammo in questa casa, che sembrava essere stata abitata da un uomo ricco amante delle arti. Era distribuita con comodità, piena di piccole statue e dipinti. C’erano bellissimi libri, tra cui Buffon, Voltaire, che è ovunque e la Galleria del Palazzo Reale.

La diarrea violenta faceva temere a tutti la mancanza di vino. Ci fu data l’ottima notizia che si poteva prendere nella cantina del bel club di cui ho parlato. Incaricai Gillet ad andarci. Entrammo attraverso una splendida stalla e un giardino che sarebbe stato bello se gli alberi di questo paese non avessero per me un carattere ineffabile di povertà. Stabilimmo i nostri servi in questa cantina; ci inviarono molto vino bianco pessimo, tovaglie e tovaglioli damascati, ma molto usati. Li prendemmo per farne delle lenzuola.

Il mio servo era completamente ubriaco; infilò in macchina le tovaglie, del vino, un violino che aveva saccheggiato per lui e mille altre cose. Preparammo una piccola cena di vino con due o tre colleghi. I domestici sistemavano la casa. L‘incendio era lontano da noi e riempiva tutta l’atmosfera, fino ad una grande altezza, di un fumo ramato. Finalmente stavamo riprendendo il respiro, quando il sig. Daru, rientrando, ci annunciò che bisognava andare. Presi la cosa con coraggio, ma mi caddero le braccia.

La mia macchina era piena, vi misi questo povero e noioso B…, che avevo preso per pietà e per restituire ad un altro la buona azione di Biliotti. È il bambino viziato più stupido e noioso che conosca. Prima di lasciare casa, presi un volume di Voltaire, quello che ha per titolo Facezie.

Le auto di François si fecero attendere. Non ci mettemmo in cammino prima delle sette. Incontrammo Mr. Daru furioso. Stavamo camminando verso l’incendio, lungo una parte del viale. Entrammo tra case in fiamme. Tutte le nostre imprese non sono mai pericolose se non per la mancanza assoluta di ordine e di prudenza. Qui una notevole colonna di auto si affollava tra le fiamme per fuggire.

Il fuoco teneva un lato della città. Per uscire, non era necessario attraversare il fuoco perché era possibile raggirarlo. Mentre pensavo al grande spettacolo che vedevo, dimenticai per un momento che avevo fatto tornare indietro la mia auto prima degli altri. Ero esausto, camminavo a piedi, perché la mia auto era piena dei saccheggi dei miei domestici e c’era il bastardo. Credetti che la mia auto si fosse persa nel fuoco. La macchina non avrebbe corso alcun pericolo, ma i miei uomini, come quelli di tutti, erano ubriachi e in grado di addormentarsi in mezzo a una strada in fiamme.

Tornando, trovammo sul boulevard il generale Kirgener, di cui sono stato molto contento quel giorno. Ci ricordò dell’audacia, cioè del buon senso, e ci mostrò che c’erano tre o quattro strade per uscire. Ne seguimmo uno verso le undici, tagliammo una fila, litigando con carrettieri del re di Napoli. Poi capii che stavamo seguendo la Tcepsltoï o via di Tver.

Uscimmo dalla città, illuminata dal più bel incendio del mondo, che formava una piramide immensa che aveva, come le preghiere dei fedeli, la sua base sulla terra e la sua sommità, in cielo. La luna appariva sopra questa atmosfera di fiamma e fumo. Era uno spettacolo imponente, ma bisognava essere soli o circondati da persone di spirito per goderselo. Ciò che ha rovinato, per me, la campagna in Russia è stato l’errore di averla fatta con persone che avrebbero sminuito il Colosseo e il Mare di Napoli.

Stavamo andando, attraverso un bellissimo sentiero, verso un castello di nome Petrovski, dove Sua Maestà era andato a prendere un alloggio. Paf! In mezzo alla strada, vedo, dalla mia macchina, dove avevo trovato un piccolo posto per grazia, la carrozza del sig. Daru che pende e, infine, cade in un fosso. La strada aveva solo ottanta piedi di larghezza. Imprecazioni, furore:fu molto difficile alzare la macchina.

Infine, arrivammo a un bivacco che affacciava sulla città. Vedevamo molto bene l’immensa piramide formata dai pianoforti e dai divani di Mosca, che ci avrebbero dato tanto godimento senza la mania incendiaria. Questo Rostopchine sarà un mascalzone o un romano; si vedrà come questa azione sarà giudicata. Oggi è stata trovata un’insegna in uno dei castelli di Rostopchine; dice che ci sono mobili da un milione, credo. Ecc., ecc., ma che bruceranno per non lasciare il godimento a briganti. Il fatto è che il suo bel palazzo di Mosca non è stato incendiato.

Arrivati al bivacco, cenammo con pesce crudo, fichi e vino. Questa fu la fine di questa giornata così penosa, durata dalle sette del mattino fino alle undici della sera. La cosa peggiore è che in quelle undici ore, seduto nella mia carrozza a dormire accanto a quel noioso B. poggiato su bottiglie, avvolte da coperte, divennigrigio a causa del pessimo vino bianco saccheggiato al club.

Conserva queste chiacchiere; bisogna almeno che io tragga vantaggio da queste piatte sofferenze. Sono sempre seccato dai miei compagni di combattimento. Addio, scrivimi e pensa a divertirti; la vita è breve.