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4 MARZO 1814, I CENTO GIORNI: NAPOLEONE A MALIJAY

4 MARZO 1814, I CENTO GIORNI: NAPOLEONE A MALIJAY

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Marzo 4, 2023    
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• Leggiamo ciò che scrive il dottor I. Revillet (1912):

Di ritorno dall’Isola d’Elba, Napoleone arrivò la sera del 4 marzo 1815 a Malijay, piccolo villaggio situato a metà strada tra Digne e Sisteron. Scese dal sindaco, che era andato ad incontrarlo, e mandò un ufficiale al castello per vedere se poteva alloggiare lui e la sua suite. L’ufficiale visitò gli appartamenti, e disse al domestico di accendere il fuoco in quello designato, e di illuminare la scala.

Pochi minuti dopo arrivò Napoleone, seguito da diversi ufficiali e da alcuni valletti. Salì rapidamente le scale e fece chiedere al padrone di casa.

Il proprietario del castello, il marchese de Malijay, era assente, a caccia dal mattino. La sua famiglia era stata molto provata dalla tormenta rivoluzionaria. Suo padre, ricevitore generale delle finanze della Provenza, era stato incarcerato al Fort Saint-Jean di Marsiglia. Per evitare la sorte riservata agli agricoltori generali, cioè il tribunale rivoluzionario e la ghigliottina, fece durare per quanto possibile la resa dei suoi conti.

Mentre era in prigione a Marsiglia, era iscritto nella lista degli emigrati nel dipartimento delle Basse Alpi, dove possedeva una terra, che fu immediatamente sequestrata. Il 9 termidoro fu rimesso in libertà; ma fu solo dopo l’avvento di Bonaparte al consolato che ottenne la sua cancellazione dalla lista degli emigrati e la restituzione di una parte delle sue terre.

Da allora erano passati dodici anni; il vecchio marchese di Malijay, l’ex ricevitore generale delle finanze, era morto, Napoleone era stato rovesciato dalla coalizione dei sovrani di tutta Europa e i Borboni, re legittimi, sembravano saldamente e definitivamente reinstallati sul trono dei loro antenati. Anche la sorpresa del giovane marchese di Malijay fu estrema e non ebbe eguali che il suo spiacevole scontento, quando apprese, al suo ritorno dalla caccia, che aveva per ospite l’usurpatore, l’”Ogre de Corse”.

Dopo aver attraversato un posto di granatieri installato alla porta del castello, fu guidato da un ufficiale presso l’imperatore. Questo, vestito con la leggendaria redingote grigia, era in piedi vicino a un tavolo. Seguendo la sua abitudine gli fece bruscamente tutta una serie di domande affrettate, a bruciapelo.
– Sei il proprietario del castello?
– Perfettamente.
– Cosa faceva tuo padre?
– Era il direttore generale delle finanze della Provenza.
– Come tale, è stato perseguito?
– È stato imprigionato e poi rilasciato. Iscritto nella lista degli emigrati, ha ottenuto la sua radiazione dopo il tuo arrivo al consolato.
– Ah! Molto bene! disse l’Imperatore; la sua figura fino ad allora severa si distese improvvisamente.

Napoleone gli chiese ancora da quando suo padre era morto, se aveva dei fratelli, ecc., poi terminò il colloquio dicendo: “Scusate, ho invaso il vostro castello, ma non c’era altro locale adatto per alloggiarmi. Vi farò fare un bel lavoro.”

Infatti, il castello era pieno di ufficiali e valletti; per coricarsi, le camere e i corridoi erano pieni di coperte e materassi, e i bassi uffici di fieno per i valletti. I granatieri della guardia bivaccarono nel cortile del castello e nella piazza del villaggio. Era una notte di marzo, fredda e stellata. Per riscaldarsi, accesero grandi fuochi, e tutto ciò che restava della provvista di legno del marchese vi passò.

Dopo la cena, che fu molto frugale, l’Imperatore si mise al lavoro con il generale Bertrand. Andava e veniva, conversava e dettava, camminando. Verso le 11 di sera si coricò e il generale Bertrand gli fece leggere ad alta voce. Dopo mezz’ora, ogni rumore cessò, l’imperatore dormiva. Il generale Bertrand passò il resto della notte seduto in una poltrona, appoggiato al comodino, sul quale era posata una coppia di pistole.

La mattina seguente, prima dell’alba, l’Imperatore scendeva nel cortile, si scusava ancora per l’inconveniente che aveva causato, e faceva consegnare ottanta franchi di strenne ai servitori del castello e una moneta da cinque franchi a ciascuna delle due donne del paese che erano venute a prestare il loro aiuto. “Non è molto, dice l’aiutante del campo di servizio, ma al momento non siamo ricchi.”

Il sole iniziava a dorare le cime delle Alpi quando l’Imperatore salì a cavallo. Si mise alla testa della sua piccola truppa, e si incamminò su questa via misteriosa e tragica, che, dopo i ricevimenti trionfali di Grenoble, Lione e Parigi, doveva condurlo a Waterloo.

Al momento di varcare la porta del castello, l’ufficiale, che aveva svolto il ruolo di pellicciaio, fece tornare indietro il suo cavallo, venne a stringere la mano al marchese e gli disse: “se per caso veniste a Parigi, e per caso ci arrivassimo, venite da me; avrò un vero piacere di potervi essere utile; potete rivolgervi al generale Deschamps.”

Questa frase caratterizza bene lo stato d’animo di queste brave persone, la loro fede cieca nel loro Imperatore; lo seguivano ovunque nelle imprese più straordinarie, e bisogna ammettere che in quel momento, la conquista della Francia da parte di un battaglione di 400 uomini poteva sembrare un’avventura piuttosto rischiosa.

Dopo la partenza di Napoleone, nella sua stanza fu trovato un foglio, stracciato e arrotolato in una polpetta, e sul comodino un libro ancora aperto.

La carta stracciata era la bozza della famosa ed eloquente proclamazione rivolta ai soldati e che fu stampata il giorno dopo a Gap: “Venite a schierarvi sotto la bandiera del vostro capo… La vittoria camminerà al passo di carica; l’aquila con i colori nazionali volerà dal campanile alle torri di Notre-Dame…”

Il libro rimasto aperto era un volume dei Racconti de La Fontaine!

Così, in un momento critico e decisivo della sua esistenza, nel momento in cui la resistenza di un solo reggimento, inviato contro di lui, lo esponeva ad essere giudicato sommariamente da una corte marziale e ad essere fucilato come un semplice ribelle preso le armi in mano, l’Imperatore aveva abbastanza forza di volontà e potere su se stesso da allontanare pensieri angoscianti e preoccupazioni. Attraverso la lettura del suo poeta preferito, dava al suo cervello la calma ristoratrice necessaria per le avventure della fidanzata del re di Garbe o della Bella Ingenua, che trovava piacere mettere “il diavolo all’inferno”.

Le reliquie napoleoniche, abbandonate al castello di Malijay, ebbero la sorte seguente: la preziosissima bozza della proclamazione “Ai soldati” fu data dal marchese di Malijay alla contessa di Castellane, sua cugina, nella cui famiglia è stato conservato. Quanto al volume delle Fiabe di La Fontaine, che ebbe il privilegio di addormentare l’Imperatore, è, purtroppo, scomparso.

• Secondo altre fonti, la testimonianza è un po’ diversa:

Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1815, avendo risalito da Golfe Juan per la strada delle Alpi, Napoleone sbarcò sulla grande piazza di Malajai, davanti agli abitanti ammassati lungo le strade. Accolto calorosamente dal sindaco del comune, Jean-Baptiste Hugues, è condotto al castello di Malajai per trascorrere la notte. È qui che viene ricevuto dal castellano, Edouard Noguier de Malijay.

È in questo castello che attende notizie dal suo fedele Cambronne, partito con quaranta lancieri polacchi per esplorare la prossima tappa dell’Imperatore, Sisteron, serratura della Provenza, con la sua cittadella inespugnabile a 23 cannoni, che può fermarlo, e rompere l’epopea…

Napoleone, preoccupato, non si sdraia, ma resta seduto in una sedia. Alle 2, finalmente, arriva al castello, Cambronne, che lo informa che è entrato senza problemi in Sisteron. I suoi lancieri detengono il forte, e il sindaco realista di Gombert e i suoi vice, per paura di scontri o misure di ritorsione, hanno deciso, costretti, di venire incontro all’imperatore. Napoleone può finalmente rilassarsi e trovare qualche momento di sonno. Alle 5 pranza e alle 6 lascia il villaggio in direzione dell’Escale…