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26 FEBBRAIO 1815: NAPOLEONE EVADE DALL’ISOLA D’ELBA

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26 FEBBRAIO 1815: NAPOLEONE EVADE DALL'ISOLA D'ELBA

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Febbraio 26, 2023    
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Già all’inizio di febbraio Napoleone decise di riarmare 26 cannoni e di caricarli di viveri necessari per un viaggio, una nave di 18 metri di lunghezza, costruita a Livorno nel 1810, l’Inconstant, che era stata riparata a seguito di un incaglio nella rada di Portoferraio.

Il 16 febbraio il colonnello sir Neil Campbell, commissario inglese incaricato della sorveglianza di Napoleone all’Isola d’Elba, che aveva un’amante a Livorno, partì per questa città annunciando che sarebbe stato assente solo una settimana.

Nella notte del 25, Napoleone, dopo 299 giorni sull’isola d’Elba, mette mano ai preparativi della partenza, con i generali Drouot, Bertrand, Cambronne, il colonnello Mallet e Jermanowski, ufficiale della guardia imperiale.

Alle sette del 26 febbraio, prima di abbandonare gli ormeggi, Napoleone, che lascia sull’isola sua madre Letizia e sua sorella Paolina, saluta la folla venuta a rendergli omaggio, in mezzo alla quale si trova il sindaco di Portoferraio, Traditi, che, troppo commosso, non può pronunciare l’arringa prevista.

Napoleone esclama: “Bon Elbois, adieu! Confido in voi mia madre e mia sorella. Addio amici, siete i coraggiosi della Toscana!” I granatieri, soldati emblematici dell’Impero, sono a bordo delle scialuppe. Bertrand, già nell’imbarcazione manovrata da marinai della guardia, prende il braccio di Napoleone, l’Inconstant e il suo prezioso passeggero prendono il largo…

• Leggiamo Louis Madelin:

Domenica 26 febbraio, l’Imperatore, dopo aver ascoltato la messa a Porto Ferrajo, passò in rassegna le sue truppe, poi risalì ai Mulini abbracciando sua madre. Alle undici, Cambronne, comandante della Guardia, informò gli aiutanti che “le truppe avrebbero mangiato la zuppa alle quattro del pomeriggio e si sarebbero imbarcate alle cinque”. L’Incotant, ridipinto pochi giorni prima, perché non si potesse, in mare, identificarlo, aspettava l’Imperatore e lo Stato Maggiore.

Alle sette Napoleone, sceso dai Mulini in macchina, si imbarcò sulla esperonnade Caroline per vincere l’Inconstant. La folla gridava: “Viva l’Imperatore!” mentre un colpo di cannone salutava la partenza. Napoleone indossava il suo vestito ordinario – leggendario – l’abito verde con paramenti rossi, la redingote grigia e l’ampio cappello di castoro nero. “Il dado è tratto!” aveva detto. Erano le parole di Cesare.

La notte precedente aveva redatto due proclami di cui, durante la traversata, avrebbe fatto dettare e copiare il testo; uno sarebbe stato indirizzato al popolo, l’altro all’esercito. Nella prima, stigmatizzava il regno dei Borboni e denunciava le loro colpe verso la Patria: imposti dall’Estero, avevano inoltre dimostrato “di non aver imparato nulla né dimenticato”; intendevano ristabilire i diritti feudali e i privilegi, allontanare i patrioti e consegnare la Francia agli emigrati.

“Francesi, concludeva l’Imperatore, ho sentito, nel mio esilio, le vostre lamentele e i vostri voti, voi reclamate il governo di vostra scelta che è l’unico legittimo. Ho attraversato i mari. Vengo a riprendermi i miei diritti che sono i vostri!”. “Soldati, diceva nella seconda proclamazione, venite a schierarvi sotto le bandiere del vostro capo. La sua esistenza si comporrà solo della vostra; i suoi diritti sono solo quelli del popolo e i vostri… La vittoria camminerà al passo di carica. L’aquila, con i colori nazionali, volerà dal campanile alle torri di Notre-Dame!”

La traversata fu favorita dalla brezza e per di più non si era fatto un incontro quando fu segnalata una vela, proveniente dal nord. All’inizio si temeva una nave inglese, ma sotto il padiglione bianco vi era una nave francese, la Zéphyr. Riconoscendo la bandiera elbana e le sue api, il comandante, Andrieux, la salutò. L’imperatore ordinò persino di sdraiarsi sul ponte.

Un dialogo al portavoce s’impegnò tra il comandante dello Zéphyr e quello dell’Inconstant, Tailhade. “Dove andate? gridò questo. – A Livorno e lei? – A Genova. Ha delle commissioni? – No! Come sta il grande uomo? – Meravigliosamente!” Lo Zephyr si allontanò. Tutta la flottiglia si radunò poco dopo l’Incotant. L’Imperatore, che per assistere a questo movimento aveva interrotto una partita a scacchi iniziata con Bertrand, scese nella sua cabina per riprendere allegramente le pedine. Mostrava una calma miracolosa.

La giornata del 28 si preannunciò bella; il sole si alzò senza nuvole: “È Austerlitz”, dice Napoleone. Era molto gioioso: al povero Peyrusse, che soffriva di mal di mare, disse ridendo: “Andiamo! andiamo! Signor tesoriere, un po’ d’acqua della Senna vi guarirà!” Convocò i suoi ufficiali: “Arriverò a Parigi, disse loro, senza sparare un colpo di fucile!” Le parole sembravano stravaganti. Si vide infine la costa francese e fu un momento di profonda emozione. L’Imperatore fece distribuire la croce a tutti i soldati della Guardia che non l’avevano ancora.

Il 1º marzo, a mezzogiorno, la flottiglia arrivava all’altezza di Cap d’Antibes. L’Imperatore apparve sul ponte, calmo e degno; aveva, al suo cappello, sostituito la coccarda elbese con quella della nazione – il tricolore. Mentre ci apprestavamo a distribuire agli uomini le coccarde nazionali, ci rendemmo conto che era inutile. Avevano tutti la loro vecchia coccarda nella fodera delle loro acconciature. Nello stesso periodo l’Inconstant portò la bandiera elbana e sfoggiò i tre colori in mezzo alle acclamazioni.

All’una del pomeriggio, il convoglio ormeggiava nel golfo Juan. Napoleone non portava con sé che 1200 uomini. Contava infatti solo sul suo prestigio. Secondo Chateaubriand, si andava ad assistere – fatto unico nella storia – all’invasione di un paese da parte di un solo uomo”.