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25 FEBBRAIO 1796: JEAN-NICOLAS STOFFLET VIENE FUCILATO

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25 FEBBRAIO 1796: JEAN-NICOLAS STOFFLET VIENE FUCILATO

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Febbraio 25, 2023    
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Jean-Nicolas Stofflet, nato nel 1753 a Bathelémont (Lorena), si arruola, a 17 anni, nel reggimento di Lorena-Fanteria. Nel 1787 entrò al servizio del conte di Maulévrier come guardia principale dei boschi. Sua sorella, governante dei figli del conte, è in Vandea dove vive una piccola colonia lorenese. Stofflet avrebbe salvato la vita del conte di Maulévrier a Lunéville? Avrebbe incontrato il marchese de La Rochejaquelein?

Di fatto, si unirà ai vandeani quando questi si rivolteranno contro la Rivoluzione per difendere la loro religione e i loro principi realisti; con Cathelineau, che è senza alcuna istruzione, il che contrasta, notiamolo, con la cultura dei grandi capi. Ma “loro due sapranno comandare senza cedimenti ai loro padroni della vigilia” (Émile Gabory).

Stofflet si ritrova negli affari di Fontenay, Cholet, Saumur, Beaupré, Laval e Antrain. A Doué, è gravemente ferito. Nel 1794 succedette a Henri de La Rochejaquelein come generale in capo dell’esercito realista. Nel maggio del 1795 firmò, insieme a Charrette, un trattato di pace che sarebbe presto decaduto.

Ma nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 1796 fu sorpreso, ferito, fatto prigioniero e fucilato ad Angers il giorno successivo. Rifiuta di essere bendato: “Un generale vandeano non ha paura dei proiettili.” Poi egli stesso comandò il fuoco lanciando: “viva la religione, viva il re.”

• Leggiamo le memorie di Victoire de Donnissan de La Rochejaquelein:

Stofflet era a capo delle parrocchie dalla parte di Maulévrier. Era alsaziano [in realtà era lorenese] ed era stato soldato. Durante la rivolta era guardiacaccia al castello di Maulévrier: aveva allora quarant’anni; era grande e robusto. Ai soldati non piaceva, perché era duro e brutale, ma gli obbedivano meglio di chiunque altro e questo lo rendeva molto utile.

I generali avevano grande fiducia in lui; era attivo, intelligente e coraggioso. Alla fine, i cattivi consiglieri hanno preso il suo spirito, lo hanno governato e gli hanno ispirato un orgoglio, una vanità che non gli erano naturali, e che gli hanno fatto commettere grandi errori e causare molti danni al partito. Mentre lui era, come tutti gli altri, dedito a fare il meglio possibile, senza pensare a lui.

• E questa bella recensione del libro di Jean-Joël Brégeon, Les eroi de la Vendée, éditions du Cerf (2019), sulla rivista Iliade:

Se la guerra della Vandea è tra gli episodi più sanguinosi della storia della Francia, il suo racconto è un’epopea grandiosa e tragica che Napoleone definì “guerra dei giganti”. È ai capi di questa insurrezione che Jean-Joël Brégeon, storico specialista della Rivoluzione francese e del Primo Impero, consacra il suo ultimo libro Les eroi de la Vendée (éditions du Cerf), riportando attraverso una galleria di ritratti la dimensione epica del loro impegno che li condurrà fino al sacrificio finale.

Bianchi o Blu, la rivolta di una generazione

Jean-Joël Brégeon ritiene che la Vandea rappresenti la “rivolta di una generazione”. La Rivoluzione francese permise, sia ai repubblicani che ai realisti, l’emergere di una nuova generazione di capi militari che rivoluzionò i concetti della guerra classica. Tra gli eserciti della Repubblica, Marceau, Hoche, Kléber, Travot uscirono dal rango a favore della Rivoluzione.

Ma questi avevano scelto il mestiere delle armi, per affrontare “il terrore del mondo, la tragedia della vita, l’incertezza dei giorni…” (Sylvain Tesson) Mentre, al contrario, i futuri generali insorti aspiravano, per la maggior parte, a condurre una vita pacifica, lontano dal fragore delle armi e dai tumulti delle battaglie. Senza la Rivoluzione, tutti sarebbero rimasti dei perfetti sconosciuti. Ma questo senza contare l’imprevisto della storia, trasformando la loro vita in destino, e cambiando il loro status di uomini ordinari in quello di eroi.

I capi dell’esercito bianco provenivano, infatti, da ambienti diversi, la maggior parte non avevano esperienza militare, ma se gli uomini del popolo non mancavano, l’essenziale del comando spettava alla nobiltà. Questi chef sapranno evolvere nella loro strategia, per scelta o spinti dagli eventi. La guerra della Vandea conoscerà così due fasi distinte: alle grandi battaglie ordinate dell’inizio del conflitto succederà la “piccola guerra”, fatta di colpi di mano e di imboscate, appoggiandosi sul sostegno della popolazione. “La Vandea ha fatto riflettere i più grandi strateghi, Napoleone, Jomini, Clausewitz. Più tardi in Russia, i leader bolscevichi nutriranno la loro riflessione di questo esempio”.
Con onore, fedeltà e brio

Una frase, sotto la penna di Jean-Joël Brégeon, riassume l’impegno dei generali Vendesi: “I vandeani non combattono per la vittoria finale, combattono per l’onore, per la fedeltà”. ” Onore”, “fedeltà”, queste parole ritornano spesso nel racconto, proprio come “brio”. Molti non si illudono del tragico esito della battaglia, ma tutti si immergono senza esitazione nel calderone luminoso dell’insurrezione. Per illustrare questo atteggiamento, Jean-Joël Brégeon cita Rabelais, “perché le persone libere, ben nate, ben educate, che vivono in buona società, hanno naturalmente un istinto, uno sprone che chiamano onore e che le spinge sempre ad agire virtuosamente”.

Alla lettura della vita di questi generali, si rimane soggiogati davanti al loro giusto atteggiamento, guidati da un’etica cavalleresca che mescola ardore al combattimento e magnanimità per i vinti, affrontando con lucidità il loro destino nonostante le condizioni dantesche. Cathelineau, Lescure, d’Elbée, Bonchamps passarono come fulmini fulminanti nella storia, falciati fin dai primi mesi della rivolta. La Rochejaquelein, colui che “voleva essere solo un ussaro, per avere il piacere di combattere”, morirà a 21 anni, meno di un anno dopo il suo impegno nell’insurrezione. Charette e Stofflet, gli ultimi due “giganti”, rimasero appena tre anni di fronte agli eserciti repubblicani che li inseguivano.

Il libro presenta anche l’entourage di ogni condottiero vandeano sotto forma di brevi notizie biografiche. La loro lettura lascia pensare: bambini o anziani, nobili o contadini, uomini o donne, madri, sorelle o figlie, tutti o quasi sono morti, sul patibolo, fucilati, annegati, uccisi dal fuoco. La loro evocazione lascia intuire l’ampiezza del cataclisma che devastò la Vandea martire.

Al di là del carattere quasi romantico della vita degli “eroi della Vandea”Jean-Joël Brégeon dedica la terza parte del suo libro alle abbondanti fonti storiografiche – più di cinquantamila – che trattano della rivolta del 1793 e affronta in particolare la controversia sul riconoscimento del genocidio vandeano, nata dalla celebrazione del bicentenario della Rivoluzione. Pur rifiutandosi di confondere storia e memoria, l’autore riconosce che il dibattito così generato ha fatto progredire la ricerca storica e dimostrato la realtà dello “sterminio di popolazioni civili” da parte della Repubblica.

In testa a ciascuno dei capitoli dedicati alla vita di un generale vandeano, Jean-Joël Brégeon ha scelto di far figurare una citazione appropriata dell’Iliade. È una scelta felice. Attraverso il suo libro, dice il coraggio di La Rochejaquelein che, come Hector, affronta in combattimento singolare i suoi nemici, dice l’astuzia di Charette che, come Ulisse “ai mille trucchi”, seppe sfuggire tante volte a molti pericoli, dice la bontà dell’anima di Bonchamps che, come Priam, perdona i suoi nemici… A trenta secoli di distanza, è lo stesso sangue e la stessa etica che attraversano e portano questi eroi.

La dimensione eminentemente tragica dell’insurrezione vandeana, che fu un sanguinoso fallimento, non fu per questo vana. “Se gli dei hanno inflitto la morte a tanti uomini, è per dare canti alla gente del futuro” (VIII, 579-580) ci dice Omero nell’Iliade. Secondo la formula di Dominique Venner nel suo libro Il samurai d’Occidente, il gesto eroico dei vandeani ha così “trasceso la sventura in bellezza”.