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24 FEBBRAIO 1785: CARLO BONAPARTE MUORE A MONTPELLIER

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24 FEBBRAIO 1785: CARLO BONAPARTE MUORE A MONTPELLIER

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Febbraio 24, 2023    
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• Leggiamo “i Bonaparte a Montpellier, di M. Grasset-Morel, nella sezione delle Lettere dell’Accademia delle Scienze e delle Lettere di Montpellier, 2a serie, terzo volume, 1900-1907.

Verso la fine del 1784, sbarcarono a Montpellier due sconosciuti, uno nella forza dell’età e l’altro, suo figlio, ancora adolescente. Temendo di trovarvi ben isolati, arrivavano muniti di lettere di raccomandazione per il si g. Bimar, grande imprenditore di diligenze, e per il si g. Durand de Saint-Maurice, presidente della Corte dei conti, aiuti e finanze. Portavano uno strano nome, e chi lo sentiva pronunciarlo lo notava a causa della sua origine italiana.

Chi avrebbe immaginato che, tra qualche anno, dopo essersi reso famoso in Francia e al di là delle montagne, gli echi gloriosi lo ripeterebbero, non solo in Europa, ma in tutti gli angoli dell’Universo. Questi due uomini erano Carlo di Buonaparte e suo figlio maggiore Giuseppe, uno di trentotto anni e l’altro di sedici circa. La famiglia Buonaparte o Bonaparte, come è stata chiamata da allora, era di origine italiana ed era emigrata da Firenze in Corsica.

Durante il primo impero, i genealogisti scoprirono che i suoi antenati avevano regnato a Treviso. Napoleone trovò sufficiente la propria fama e disdegnò di ricercare quella dei suoi ascendenti, perciò non annetté alcuna importanza a questa scoperta; non fu lo stesso, si dice, dell’imperatore d’Austria, che volle convincersi che suo genero non fosse un giunto. In ogni caso, Carlo Bonaparte era un gentiluomo e fu, come tale, deputato della nobiltà corsa alla Corte, nel 1777.

Aveva fatto confermare le sue prove di nobiltà da d’Hozier de Sérigny, giudice d’armi. Uomo tranquillo e mite, si era però schierato dalla parte di Paoli e aveva lottato prima per l’indipendenza dell’isola, spinto probabilmente dalla moglie Letizia Ramolino, che invece era di carattere molto deciso. Poi, abbracciata la causa dei suoi nuovi padroni, si fece ben vedere dal governatore della Corsica, il conte di Marboeuf. Grazie alla protezione di quest’ultimo, grazie alle lettere di raccomandazione che ottenne dal granduca Leopoldo presso sua sorella Maria Antonietta, regina di Francia, gli furono concesse borse di studio per l’educazione di molti dei suoi figli.

Nel 1783, durante un viaggio nell’Entroterra, Carlo sentì i primi attacchi del male che doveva prevalere. Trovandosi a Parigi, ricorse alle cure del dottore de la Sonde, medico della Regina, che portò grande sollievo ai suoi dolori. Tuttavia, la sua salute preoccupava Letizia, che non smetteva di fornirle le cure più urgenti. L’anno seguente la malattia fece ulteriori progressi; ne fu talmente colpito che, su istanza dei suoi, si decise a riprendere il cammino di Francia per rimettersi nelle mani dello stesso dottore. Gli costava però abbandonare sua moglie in uno stato di gravidanza molto avanzato del bambino che doveva essere il futuro re di Vestfalia.

Infine si imbarcò, accompagnato dal figlio maggiore Giuseppe e dal cognato Fesch, il 9 novembre 1784. La traversata fu dolorosa e le fatiche del viaggio aumentarono le sue sofferenze al punto che, sbarcando, si vide costretto a rinunciare ad andare fino a Parigi per ritrovare il dottore della Sonda. Si fermò prima ad Aix, dove doveva lasciare al Seminario il suo giovane cognato, che vi avrebbe proseguito gli studi teologici. Lì si mise nelle mani di uno dei migliori professionisti della Provenza, il dottor Tournatori, che giudicò il suo caso molto grave e gli consigliò vivamente di andare fino a Montpellier, dove avrebbe trovato, come ad Aix, un clima abbastanza simile a quello della sua isola, e maggiori risorse dal punto di vista medico. Non potendo affrontare, all’inizio dell’inverno, un viaggio alla Capitale, si rassegnò a prendere il cammino della Linguadoca, sempre seguito da Giuseppe, dopo aver lasciato Fesch al Seminario di Aix.

Poco ricco e carico di una numerosa famiglia, Charles viaggiava con la borsa leggermente rifornita. Arrivato a Montpellier, andò ad alloggiare in una modesta locanda, non sapendo se i medici che doveva consultare gli avrebbero ordinato un trattamento e un soggiorno più o meno lunghi.

La duchessa d’Abrantès nelle sue Mémoires, racconta che suo padre, M. de Permon, che dopo essersi arricchito nei mezzi di sussistenza dell’esercito di Rochambeau, aveva occupato un posto di finanze ad Ajaccio, si trovava allora a Montpellier, dove svolgeva le stesse funzioni. Avendo appreso, un certo giorno, che due abitanti della Corsica erano arrivati in città, ebbe la curiosità di sapere se, per caso, non avrebbe ritrovato vecchie conoscenze di Ajaccio. Si mise in campagna e scoprì dove abitavano.
Quale non fu la sua sorpresa nel riconoscere Carlo Bonaparte, con il quale era stato molto legato nell’isola, accompagnato dal figlio Giuseppe e non dal cognato Fesch, come dice erroneamente l’autore delle Memorie. Egli soffrì di vederli così male alloggiati e riuscì, grazie alle sue istanze e a quelle di sua moglie, a far loro accettare l’ospitalità sotto il suo tetto, dove sarebbero state assicurate le cure che richiedevano lo stato di salute del padre.

Tutti coloro che hanno parlato del soggiorno di Carlo Bonaparte a Montpellier si sono naturalmente riferiti al racconto di Madame d’Abrantès, che sembrava più di chiunque altro in grado di non sbagliare. Tuttavia, in questo brano delle sue Memorie rileviamo alcuni errori. In primo luogo, Madame de Permon, che aveva appena partorito sua figlia Laure, avrebbe potuto offrire l’ospitalità ai due stranieri, ma avrebbe faticato a fornire loro le sue cure. Del resto, sembra che si trovasse a Montpellier solo di tanto in tanto. Secondo l’atto di battesimo di questa ragazza, suo marito, essendo un particolare destinatario delle finanze della diocesi di Narbonne, aveva la sua residenza in questa città e si trovava a Montpellier, in quel momento, solo a causa degli Stati della Linguadoca, che vi tenevano le loro sedute alla fine dell’anno […].

Dopo che la Facoltà si fu pronunciata per un soggiorno prolungato di Carlo Bonaparte a Montpellier, questi pensò di lasciare l’ostello e di prendere un appartamento. Mise gli occhi su una piccola casa ritirata, fuori città, tra le mura e il cortile delle Caserme, nella strada chiamata oggi Castilhon e all’angolo N.-O. della rue du Cheval-Vert.

Questo quartiere comprendeva solo rare case circondate da giardini; era davvero il sobborgo. La persona che affittò questa casa al gentiluomo corso era una signora Delon, che lo curò con dedizione ogni giorno. Lì riceveva, al di fuori dei Montpelliérains ai quali era stato raccomandato, come abbiamo visto, l’abate Pradier, cappellano del reggimento di Vermandois, in guarnigione nella città, e l’abate Coustou, giovane vicario di Saint-Denis.

Questo entourage non è certo quello di un libero pensatore, di un filosofo, come si diceva allora, di un nemico inconciliabile della religione, che alcuni autori hanno voluto vedere in Carlo Bonaparte. Profondamente attaccato alla fede dei suoi padri, al contrario, fin dai primi tempi del suo soggiorno a Montpellier, trovandosi nell’impossibilità di uscire, manifestò il desiderio di ricevere da lui il sacramento dell’eucaristia. Il Sig. Manen, parroco di Saint-Denis, la sua parrocchia, prendendo in considerazione il suo stato di salute, accettò la sua richiesta e affidò la cura di portargli il viatico al suo vicario l’abate Coustou; è la fonte naturale dei frequenti rapporti che si stabilirono tra il malato e il giovane sacerdote.

Questo soggiorno forzato a Montpellier era per il gentiluomo corso un vero esilio che veniva ad aggravare le sue sofferenze. Il suo pensiero si riferiva continuamente alla patria assente, alla moglie, ai figli, separati da lui dall’immensità del mare. Gli capitava spesso di confidarsi con l’abate Coustou; lo intratteneva della sua vita passata, dei suoi giovani anni trascorsi nella lotta per l’indipendenza dell’isola, della forza d’animo di Letizia, sua moglie, vera amazzone, che non temeva di seguirlo nella macchia, infine dei suoi numerosi figli e del cadetto, allora alla scuola di Brienne, sul cui conto fondava grandi speranze. “Questo, credo, diceva, farà la sua strada, ma non lo vedrò”. Per quanto convinto che fosse del brillante futuro di questo bambino, non poteva certo supporre che la sua previsione sarebbe andata ben oltre le sue speranze.

Mentre quest’ultimo godeva di una borsa di studio alla Scuola di Brienne, Joseph ne aveva ottenuta una da parte sua al collegio di Autun, la maggiore delle sue figlie, Marie-Anne, ne aveva una terza a Saint-Cyr. Carlo Bonaparte si mostrò molto grato di questi favori e non cessò nei suoi colloqui di lodare la bontà del re nei suoi confronti.

Purtroppo, né la cura assidua della donna Louise Delon né il trattamento ordinato dal professor Vigarous, il suo medico, riuscivano a fermare il male, che faceva rapidi progressi; l’alimentazione si svolgeva faticosamente, il vomito raddoppiava di frequenza; la facoltà si pronunciò per un’ulcera allo stomaco. Tuttavia, il malato accettava le sue sofferenze con la più grande rassegnazione; si preoccupava soprattutto di sua moglie; raccomandava bene che gli si nascondesse la gravità del suo stato, perché avrebbe sofferto troppo, se fosse riuscita a conoscere la verità, le fosse stato impedito di mettersi in cammino per prestarle le sue cure.

Quando la malattia giunse al termine e ogni speranza fu persa, sentendo la sua fine avvicinarsi, Carlo Bonaparte desiderò ricevere le supreme consolazioni della religione. Fu l’altro suo amico, l’abate Pradier, che nominò per amministrargli gli ultimi sacramenti.

Il 24 febbraio 1785, restituiva la sua anima a Dio. I suoi resti non dovevano riposare in questo suolo natale che aveva amato, vicino a quelli che amava. In primo luogo, il viaggio sarebbe stato tanto lungo e le modeste risorse della famiglia non gli permettevano grandi spese. Fu quindi deciso che la sepoltura avrebbe avuto luogo a Montpellier. L’abate Pradier, che aveva assistito Carlo nella sua agonia, nella sua duplice qualità di sacerdote e di amico, fece una proposta che fu accettata con riconoscenza. Essendo stato un tempo religioso cordogliere, intratteneva ottimi rapporti con il convento dell’Osservanza; a forza di passi, ottenne per le spoglie del gentiluomo corso un posto nel caveau dei Cordeliers, come si evince dal certificato di morte iscritto nei registri della parrocchia di Saint-Denis, che merita di essere riprodotto.

“L’anno sopra, si legge, e il ventiquattro febbraio, Sir Charles Buonaparte, ex deputato della nobiltà degli Stati di Corsica alla Corte, sposo di Maria Letitia de Ramolini, morto lo stesso giorno, all’età di circa trentanove anni, munito dei sacramenti della Chiesa, è stato sepolto in una delle cantine del convento delle RR. PP. Cordeliers. Presenti: i sigg. Méjan. e Coustou sacerdoti vicari, e il sig. Pradié, sacerdote cappellano del reggimento del Vermandois, firmati con noi parroco. – Pradié, prete, Mejan, Coustou, Manen, parroco” […].

Certamente, questo ragazzo di sedici anni si vide circondato dai pochi della città che si erano interessati alla sorte degli esuli. Le memorie affermano anche che Madame de Permon, che aveva l’età di sua madre, lo prese in casa sua. In ogni caso, suo zio Fesch, accorse subito da Aix, ma arrivò troppo tardi per ricevere l’ultimo respiro del cognato…