Sorting by

×
Vai al contenuto

20 FEBBRAIO 1811: CHATEAUBRIAND VIENE ELETTO ALL’ACCADEMIA FRANCESE

  • di
20 FEBBRAIO 1811: CHATEAUBRIAND VIENE ELETTO ALL'ACCADEMIA FRANCESE

Quando

Febbraio 20, 2023    
Tutto il giorno

Event Type

In prossimità dell’anniversario dell’elezione di Chateaubriand all’Académie française, il 20 febbraio 1811, guardiamo questo personaggio che ha segnato la sua epoca. Napoleone governò la Francia politica e Chateaubriand governò la Francia letteraria.

Se il primo è morto prematuramente per la fatalità della sorte e i rigori di un clima abominevole, sull’isola di Sant’Elena, il secondo ha potuto vivere quasi 80 anni per raccontare la loro storia.

Regolarmente si colloca in una relazione quasi intima, nelle sue famose Memorie d’Oltretomba, con l’uomo che ha tanto ammirato e tanto combattuto. Così, quando parla della sua giovinezza, spiega che lui e Napoleone entrarono entrambi sconosciuti nell’era rivoluzionaria, ma il loro destino non fu lo stesso.

In fondo avevano idee simili e molto compatibili. Lettori di Rousseau, hanno amato le nuove idee, ma la barbarie del Terrore e i discorsi degli ideologi li hanno distolti dal movimento che appariva. Entrambi incarnano l’equilibrio tra il meglio della monarchia e il meglio della rivoluzione. Sono gli eccessi che hanno fatto fuggire Chateaubriand. Dice: “La Rivoluzione mi avrebbe trascinato”, ma usa il condizionale. I crimini gli fecero orrore, così come la morte del duca d’Enghien, che egli considerò un errore, provocò la sua rottura con il primo console nel 1804.

Perché, è un fatto poco conosciuto, i due uomini hanno in qualche modo lavorato insieme. Chateaubriand ebbe l’onore di essere presentato a Bonaparte dopo il successo del suo Genio del Cristianesimo. L’ammirazione fu reciproca. Poco dopo questo incontro, Chateaubriand fu nominato segretario dell’ambasciata di Francia a Roma nel 1803.

Dopo il 1804, le relazioni tra i due uomini furono tempestose. L’Imperatore cercò di legarsi ancora una volta a Chateaubriand, che stimava, e di far riconoscere il suo talento, ma il suo tentativo fu vano. L’episodio dell’Accademia mostrò tutta l’indipendenza che il bretone voleva dimostrare.

Fedele alla tradizione francese del duello tra la penna e lo scettro, fu quello che Saint-Simon fu a Luigi XIV, Voltaire a Luigi XV e Victor Hugo a Napoleone III. Il suo discorso non mancava di piccante per il potere dell’Imperatore. Ammirava il suo genio (1), ma detestava ciò che considerava dispotismo. Il discorso di Chateaubriand all’Accademia non poté mai essere pronunciato e vi si sedette solo più tardi, sotto la Restaurazione.

Napoleone fu irritato. Ad un membro dell’Istituto che difendeva il discorso che voleva pronunciare Chateaubriand, egli rispose: “Siamo forse dei banditi e io sono solo un usurpatore? Non ho spodestato nessuno, signore, ho trovato, ho sollevato la corona nel torrente e la gente l’ha messa sulla mia testa. Dobbiamo rispettare le sue azioni!”

Chateaubriand si esiliò lontano da Parigi, nella campagna dell’Essonne, alla Vallée-aux-Loups, dove fece pubblicare nel 1814 il suo terribile opuscolo, “De Buonaparte et des Bourbons”, di cui Luigi XVIII dichiarò di aver beneficiato più di un esercito di centomila uomini. L’Imperatore, a Fontainebleau, giudicò questo opuscolo con imparzialità. Disse al duca di Bassano: “Questo è giusto; non è giusto. Non ho rimproveri da fare a Chateaubriand; egli mi ha resistito nella mia potenza, ma questi mascalzoni, tali e tali!” (e li chiamava nella sua ira).

Poco prima di morire, un articolo pubblicato da Chateaubriand in Francia giunse a Sant’Elena fino all’Imperatore. Diceva: “Nato in un’isola per andare a morire in un’isola, ai confini di tre continenti; gettato in mezzo ai mari dove Camoëns sembrò profetizzarlo ponendovi il genio delle tempeste, Bonaparte non può muoversi sulla sua roccia che non ne siamo avvertiti da una scossa; un passo del nuovo Adamastor all’altro polo si fa sentire a questo. Se Napoleone, sfuggito alle mani dei suoi carcerieri, si ritirasse negli Stati Uniti, i suoi sguardi legati all’Oceano basterebbero a turbare i popoli del vecchio mondo; la sua sola presenza sulla riva americana dell’Atlantico costringerebbe l’Europa a accamparsi sulla riva opposta.”

L’Imperatore disse allora a M. de Montholon (è Chateaubriand che lo racconta): “Chateaubriand ha ricevuto dalla natura il fuoco sacro: le sue opere lo attestano. Il suo stile non è quello di Racine, è quello del profeta. Se arriva al timone degli affari, è possibile che Chateaubriand si smarrisca: tanti altri vi hanno trovato la loro perdita! Ma ciò che è certo è che tutto ciò che è grande e nazionale deve corrispondere al suo genio e che egli avrebbe respinto con indignazione questi atti infamanti dell’amministrazione di allora.”

E Chateaubriand conclude: “Queste sono le mie ultime relazioni con Bonaparte. Perché non dovrei essere d’accordo che questo giudizio solletico del mio cuore la superba debolezza (2)? Molti piccoli uomini ai quali ho reso grandi servigi non mi hanno giudicato così favorevolmente che il gigante di cui avevo osato attaccare il potere.”

Così fu la relazione piena di contrasti e paradossi tra i due grandi uomini. Napoleone fu l’uomo più grande che la Francia abbia mai conosciuto e Chateaubriand il più grande scrittore della nostra letteratura così sfarzosa. Questo paradosso si ritrova nel giudizio di Chateaubriand sulla Restaurazione, che aveva pure invocato e di cui fu un attore politico importante. Dice: “Ricadere da Bonaparte e dall’Impero a ciò che li ha seguiti, è cadere dalla realtà nel nulla, dalla cima di una montagna in un abisso”.

(1) ” La mia ammirazione per Bonaparte è sempre stata grande e sincera, anche se stavo attaccando Napoleone con più vivacità.” (Memorie d’Oltretomba, libro ventiduesimo, capitolo 15).
(2) Riferimento a “Ifigenia”.

Grazie a Pierre Aliotti, membro di Cercle Napoléon, per questo testo.