Sorting by

×
Vai al contenuto

20 E 21 MARZO 1814: NAPOLEONE ALLA BATTAGLIA DI ARCIS-SUR-AUBE

20 E 21 MARZO 1814: NAPOLEONE ALLA BATTAGLIA DI ARCIS-SUR-AUBE

Quando

Marzo 20, 2023    
Tutto il giorno

Event Type

La battaglia di Arcis-sur-Aube ebbe luogo durante la campagna di Francia, il 20 e 21 marzo 1814, tra un esercito francese comandato da Napoleone e un esercito austriaco comandato da Schwarzenberg.

• Leggiamo, di Pierre-François Tissot: “Trofei delle Armate francesi dal 1792 fino al 1815”, edizione Le Fuel, Parigi, 1819-1820:

L’imperatore arrivò verso mezzogiorno ad Arcis. Egli fece immediatamente chiamare il maresciallo Ney e il generale Sébastiani che lo avevano preceduto, per conferire con loro sullo stato degli affari, dubitando sempre che l’intenzione degli alleati fosse di concentrarsi per combattere.

Quest’ultimo, le cui due divisioni erano a cavallo sulla strada di Troyes, gli fece conoscere che tutte le forze del nemico arrivavano da questa strada, e che li aveva visti con i suoi occhi. Ma, rifiutando di credere a questo rapporto, Napoleone incaricò un capitano d’ordinanza di recarsi agli avamposti, e di ritornare al galoppo per informarlo di ciò che avrebbe visto. Questo ufficiale partì, vide e tornò, annunciando di aver visto solo un migliaio di cosacchi sparsi per la campagna.

Anche se certo di questo riconoscimento, il generale Sébastiani lasciò l’Imperatore senza dire una parola, e fu in attesa al suo posto che l’arrivo del principe di Schwartzenberg confermasse il suo rapporto, e confutò quello del capitano d’ordinanza. Appena Sebastiani raggiunse le sue divisioni, ritornò per avvertire che il nemico stava avanzando su Arcis, che le sue colonne d’attacco erano formate e che bisognava cavalcare senza perdere un minuto.

Era il grosso dell’esercito nemico. Il generalissimo aveva ingiunto al principe reale di Württemberg di dirigersi su Plancy con i tre corpi sottomessi al suo comando, e di fondersi sulle colonne francesi non appena le avesse trovate, mentre il conte di Wrède avrebbe fatto diversione attaccando Arcis e che le guardie e le riserve si sarebbero riunite a Onjon.

Il conte di Wrède non era più che ad una lega di Arcis, quando vide la cavalleria francese, si trovò su di essa una superiorità numerica maggiore e la fece caricare approssimativamente dalla sua. I nostri soldati fuggivano in disordine quando, gettandosi davanti a loro sui ponti che stavano per intasare, Napoleone gridò con voce tuonante: “Vediamo chi di voi li colpirà prima di me. Non siete dunque più i vincitori di Champ-Haubert e di Montmirail?”.

Queste poche parole restituirono ai francesi tutta la loro energia. Si riformarono sotto gli occhi del loro intrepido leader e ritornarono in battaglia con nuovo ardore. La divisione Friant apparve su questi intrecci per sostenere il loro movimento.
Mentre questi eventi si svolgevano sulla destra, il maresciallo Ney lottava con una manciata di uomini contro gli sforzi congiunti dei bavaresi e degli austriaci. Incaricato di difendere il villaggio di Torcy, unico punto il cui possesso poté aprire la strada d’Arcis al conte di Wrède, respinse diversi attacchi con questo valore che dispiegò ovunque. Torcy, tuttavia, gli sfuggì per un momento, ma lo riprese presto alle forze che se ne erano impossessate.

Invano il nemico guidò su questo punto, diventato il centro dell’azione, il corpo dei granatieri del generale Tschoglikow, la seconda divisione di corazzieri russi, la cavalleria della guardia prussiana, l’artiglieria leggera della guardia russa. Questo rinforzo onnipotente serviva solo a dare un nuovo lustro alla gloria delle nostre armi.

L’incendio si manifestò e fu in mezzo alle fiamme che il maresciallo Ney se ne andò padrone. In questa lotta di immortale ricordo, il generale francese Janssens e il generale bavarese Habermann caddero mortalmente feriti. Mentre la fanteria difendeva Torcy con tanto coraggio, la cavalleria faceva cariche più o meno felici nella pianura che separava le strade di Plancy e Troyes. Nessuno dei due partiti aveva ancora ottenuto vantaggi su questo punto, quando si vide stabilirsi a Plancy il generale Desnouettes, con duemila cavalli e quattromila cinquecento fanti della giovane guardia.

Il giorno cominciava a cadere; si lasciò prendere un leggero riposo a questi coraggiosi e verso le nove di sera li fecero entrare in fila.
Il generale Sébastiani ne approfittò per eseguire una carica. Da lui i cosacchi di Kaisarow furono fatti a pezzi, e la sinistra del nemico fu interamente sconfitta. Questa carica divenne funesta agli alleati, quando l’effetto fu compromesso dall’arrivo improvviso di tutta la cavalleria del generalissimo. I due partiti si limitarono a campeggiare in presenza, lasciando tra loro il villaggio di Nosay senza alcun posto.

Tuttavia il principe di Württemberg, che abbiamo rappresentato come destinato a sboccare da Plancy, stava operando il suo movimento. Incontrò lungo la strada i granatieri e i cacciatori a cavallo della guardia, che, lasciati il giorno prima ai Grez, si erano messi in marcia verso le due del pomeriggio per raggiungere l’Imperatore.

Questo incontro diede vita a un combattimento in cui questi uomini, così giustamente definiti invincibili, sarebbero stati sconfitti, se il generale Curely non fosse arrivato precipitosamente con la sua artiglieria e la sua brigata. L’intrepidità che mostrò, fece lasciare andare il principe di Württemberg e i francesi si rifugiarono a Méry, dove si trovava un corpo di fanteria contro il quale il nemico non osò intraprendere nulla. Rimasero lì fino alla notte. Solo allora si misero in marcia per Arcis.

Questo impegno fu l’ultimo della giornata. I due eserciti giacevano sul loro terreno e non si preoccupavano affatto durante la notte.

Quando si riflette sulla battaglia di Arcis-sur-Aube, si è tentati di considerarla una delle più sorprendenti consegnate dall’imperatore Napoleone. In effetti, il suo esercito la vinse combattendo nella proporzione di uno contro cinque. Napoleone rimase costantemente al centro della carneficina. Un cavallo fu ucciso, sotto di lui. 


I due partiti aspettavano rinforzi. Arrivarono nella notte. Appena fu giorno, l’Imperatore si fece portare un cavallo e vennero riconosciute le posizioni del nemico. Anche se a Napoleone non restavano che diciottomila uomini per combatterne centomila, concentrati sulle alture di Mesnil-la-Comtesse, diede il segnale dell’attacco.

Ma questo movimento aveva solo lo scopo di tenere il nemico in rispetto. L’Imperatore richiamò le sue truppe, che avevano appena sferrato la cavalleria del conte Pahlen e ordinò la ritirata su Saint-Dizier. Operando in tal modo, l’Imperatore aveva lo scopo di ingrossare il suo esercito delle guarnigioni sparse in una parte delle piazzeforti del nord della Francia, di armare in suo favore i bellicosi abitanti della Lorena, dell’Alsazia, della Borgogna e della Franca-Contea, per poi tagliare ogni ritirata al nemico.


Questo piano era forse il più grande tratto di genio del guerriero che lo concepì. Ma bisognava che, riempiendo la sua speranza, Parigi resistesse abbastanza a lungo per dare il tempo di arrivare con un esercito più numeroso e l’intera massa della popolazione. Per chi conosce lo spirito delle quattro province alle quali Napoleone confidava in parte la sorte della Francia, questo progetto non aveva nulla di irrealizzabile ed era talmente convinto di vederlo riuscire, che disse agli ufficiali che lo circondavano: “Abbiamo parlato di pace; io non tratto con i prigionieri”.

Il principe di Schwartzenberg inseguì l’imperatore fino a Vitry-le-François. Arrivato in questa città, tornò indietro con il grosso del suo esercito per marciare su Parigi, lasciando all’inseguimento del suo pericoloso avversario solo diecimila cavalli e cinquanta pezzi di cannone, di cui affidò il comando ai generali Wintzingerode e Czernicheff.

Napoleone non aveva informazioni positive sulla forza delle truppe che si attaccavano ai suoi passi. Molti dei suoi generali pensavano che queste truppe fossero solo una forte avanguardia e che il grande esercito alleato, almeno in gran parte, fosse tornato indietro a Saint-Dizier, portandosi su Joinville, per girare l’esercito francese e separare i suoi vari corpi.

Il maresciallo Ney credeva invece che gli eserciti nemici, senza pensare di seguire Napoleone, si erano riuniti e marciavano sulla capitale. Come si è visto, quest’ultimo parere era l’unico conforme alla verità. Ma Napoleone sosteneva a tal punto colui che riuniva la maggioranza dei voti, che dopo aver ascoltato con la massima attenzione le congetture del principe della Moscowa, rispose così: “Vedrò domani quello che dovrò fare” e due ore dopo diede l’ordine di partire per Vassy…