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20 DICEMBRE 1812: NAPOLEONE, DI RITORNO A PARIGI, RIPRENDE LE REDINI DEL POTERE

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20 DICEMBRE 1812: NAPOLEONE, DI RITORNO A PARIGI, RIPRENDE LE REDINI DEL POTERE

Quando

Dicembre 20, 2022    
12:00 am

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  • Leggiamo le memorie del generale de Caulaincourt, duca di Vicenza, grande scudiero dell’Imperatore

    Il postiglione, sempre al galoppo, passò, senza che gli fosse detto, sotto l’Arco di Trionfo e senza che le stelle avessero il tempo di impedirglielo. ” È di buon auspicio”, mi disse l’Imperatore. Scese sano e salvo all’ingresso centrale, nel momento in cui l’orologio suonava l’ultimo quarto prima di mezzanotte.

    Avevo sbottonato la redingote in modo da far vedere il ricamo della mia uniforme. Le fazioni, scambiandoci per ufficiali portatori di dispacci, ci lasciarono passare e arrivammo all’ingresso della galleria aperta sul giardino. Lo svizzero, che si coricava, venne, con la luce in mano, in camicia.

    Le nostre figure gli sembrarono così strane che chiamò sua moglie. Dovetti nominarmi più volte per persuaderli e decidere di aprire. Con un po’ di fatica mi riconobbero. La donna aprì e lui chiamò uno dei camerieri di servizio.

    L’imperatrice era appena andata a letto. Mi feci accompagnare all’appartamento per dare notizie dell’Imperatore che mi seguiva, come avevamo concordato. Durante tutti questi colloqui, lo svizzero e la gente guardavano l’Imperatore dalla testa ai piedi. Uno di loro gridò: “È l’Imperatore…”


Non ci si può fare un’idea della loro gioia. Non potevano trattenersi. Le due donne di servizio vicino all’imperatrice uscivano dal suo appartamento quando io entravo nel loro. La mia barba di quindici giorni, il mio vestito, i miei stivali riempiti, non li colpirono, senza dubbio, più piacevolmente dello svizzero, poiché dovetti declinare le buone notizie che portavo dall’Imperatore affinché non si salvassero dallo spettro che credevano di vedere davanti a loro. Il nome dell’Imperatore finalmente li rassicurò e li aiutò a riconoscermi. Una di loro mi annunciò all’Imperatrice.

Intanto l’Imperatore, che aveva difficoltà a nascondere la sua impazienza, mise fine alla mia ambasciata entrando dall’Imperatrice e dicendomi: “Buonasera, Caulaincourt. Hai anche bisogno di riposo”.

Mi recai immediatamente, come mi aveva ordinato l’Imperatore, presso l’arcicancelliere che non si aspettava che il dispaccio che spediva per l’ordine della notte, potesse arrivare così rapidamente a destinazione. Se non fossi arrivato sulla sedia di posta, se un valletto del castello non mi avesse seguito e la frusta del postiglione non mi avesse servito da passaporto, si sarebbe anche esitato a ricevermi dall’arcicancelliere. La mia faccia non faceva fortuna. Il valletto della Corte dovette servirmi in qualche modo da introduttore, perché la gente del principe mi guardava e non sapeva, in verità, che pensare di questa figura che nessuno poteva riconoscere e non voleva annunciare.

Mr. Jaubert, della Banca, e alcune altre persone che erano nel salotto del principe, erano come pietrificati da questa apparizione. Tutti mi guardavano senza dire una parola. Non si sapeva che pensare del mio arrivo e di questa figura che non sembrava loro quella del nome che avevamo annunciato. A questa impressione prodotta, nel primo momento, dal mio vestito e dalla mia barba, si unì subito la riflessione:
“Dov’è l’Imperatore? Che novità ci sono?… È successo qualcosa?”

Il terribile bollettino era apparso, non si erano svegliati la mattina su dolci impressioni. Erano tristi. Non sapevano dell’Imperatore a Parigi. Perché il Grande Scudiero era lì? Perché l’aveva lasciato? L’ora, la pallida luce di una lampada, le incertezze, i tristi dettagli che si conoscevano, quelli che ci si aspettava, tutto metteva nero nella mente e li disponeva a tristi presentimenti.

Questa era la situazione delle persone che erano nel soggiorno, mentre aspettavo il ritorno del cameriere, entrato nel gabinetto del principe per annunciarmi. Questa scena muta non si può descrivere. Tutti mi guardavano senza poter dire una parola: sembravano spirare sulle labbra. Ognuno cercava la sua risposta nei miei sguardi e l’espressione di tutte le fisionomie annunciava più timore che speranza. Un po’ ripreso dal primo stupore, l’on. Jaubert, al quale rivolgevo la parola, esclamò:

“E l’Imperatore, signor duca…?” Non poté finire la sua frase. Ognuno ripeté, con aria costernata, queste parole: “E l’Imperatore? Dov’è?”.

“A Parigi”, risposi.
 


  • Leggiamo “Memorie per servire alla storia militare sotto il Direttorio, il Consolato e l’Impero” dal maresciallo Gouvion Saint-Cyr

    La partenza di Napoleone dal suo esercito, dopo il passaggio della Beresina, fu giudicata in vari modi: severamente biasimata dal maggior numero e lodata dai più devoti dei suoi servitori. C’era infatti molto da dire, sia per criticare, sia per scusare il partito che aveva appena preso, indipendentemente da ciò che la sua qualità di sovrano di un grande impero gli imponeva doveri diversi da quelli di generale in capo.

Se avesse posseduto, in ciò che riguarda la parte difensiva della guerra, la stessa superiorità che lo distingueva in tutto ciò che ha a che fare con l’offensiva, non esiterei a pensare che abbia sbagliato ad abbandonare il suo esercito, perché, rimanendogli accanto, egli avrebbe ridotto di molto i mali, dal passaggio della Beresina fino al momento in cui è stato in grado di riprendere l’offensiva in Sassonia.

La sua presenza avrebbe diminuito lo scoraggiamento in cui erano caduti tutti i corpi, che fu invece portato all’eccesso dalla sua dipartita; avrebbe fatto evitare le disgrazie che risultarono dalla debolezza dei capi nelle cui mani li lasciò, della loro mancanza di autorità o di esperienza; ma penso che, nella situazione delle cose, non potendo più fare la guerra che conveniva al suo genio, sarebbe stato solo spettatore degli ultimi disastri. Così era ancora meglio, nell’interesse della Francia e dell’esercito, che se ne potesse accusare chiunque altro. Vedendo ciò che aveva già creato di mezzi venti giorni dopo il suo arrivo a Parigi, si deve convenire che la sua brusca partenza dalla Polonia era un atto di saggezza.

Napoleone conservò abbastanza forze fisiche per attraversare rapidamente la Polonia, la Germania e la Francia, in una stagione così rigorosa, senza prendere alcun riposo; arrivò a Parigi il 20 dicembre e senza che le disgrazie pubbliche o i suoi particolari avessero influito sulla sua salute.

Nonostante la costernazione generale, non fu accolto male; ricevette le congratulazioni del senato e, con il pretesto che si trattava di vendicare l’onore della Francia, che tuttavia non aveva ricevuto finora alcuna offesa, nessun sacrificio appariva troppo doloroso: i corpi costituiti si affrettarono a concedergli uomini, cavalli e denaro; a mettere così a sua disposizione le ultime risorse dello Stato, che non dovevano mai essere utilizzate che per la difesa del suolo della patria e non di quelle lontane, così estranee ai suoi veri interessi.