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2 OTTOBRE 1808: NAPOLEONE INCONTRA GOETHE

2 OTTOBRE 1808: NAPOLEONE INCONTRA GOETHE

Quando

Ottobre 2, 2022    
12:00 am

Event Type

A Erfurt, Goethe, che aveva assistito il giorno prima all’ascesa dell’imperatore, è chiamato verso le 11 da Napoleone che lo riceve durante il suo pranzo in presenza di Daru e Talleyrand. Ecco come descrive la scena:

Il 2 (ottobre 1808) il maresciallo Lannes e il ministro Marethanno, credo, parlato di me favorevolmente. Conosco il primo dal 1806. Sono stato convocato per le undici dall’Imperatore. Un grosso ciambellano, Mr. Pole, mi dice di aspettare. La folla si allontana. Mi presentano Savary e Talleyrand. Sono chiamato nel gabinetto dell’Imperatore. In questo momento, Daru si fa annunciare. Viene introdotto subito. Questo mi fa esitare. Vengo chiamato una seconda volta. Entro. L’Imperatore siede ad una grande tavola rotonda. Pranza. Alla sua destra, a qualche distanza dalla tavola, c’è Talleyrand; alla sua sinistra Daru, il quale parla di contributi. L’Imperatore mi fa segno di avvicinarmi. Mi avvicino a una distanza adeguata.

Dopo un momento:

Quanti anni hai?

– Sessant’anni.

– Sei ben conservato. Hai scritto tragedie?

Rispondo il necessario. Daru prende la parola. Per lusingare un po’ i tedeschi, ai quali era costretto a fare tanto male, aveva appreso qualche conoscenza della nostra letteratura. Era esperto nella letteratura latina e aveva anche tradotto Orazio. Parlò di me più o meno come avrebbero fatto i miei amici di Berlino. Riconobbi il loro modo di vedere e i loro sentimenti. Aggiunse che avevo tradotto opere francesi e il Maometto di Voltaire.

L’Imperatore disse: Non è un buon lavoro, e sviluppò con dettaglio quanto fosse conveniente che il vincitore del mondo facesse di se stesso un dipinto così sfavorevole. Poi portò la conversazione su Werther, che doveva aver studiato a fondo. Dopo alcune osservazioni assolutamente corrette, mi segnalò un certo passo e mi disse: Perché hai fatto questo? Non è naturale. E sviluppò a lungo la sua tesi, con precisione.

Lo ascoltai con espressione serena, poi risposi con un sorriso di soddisfazione che non sapevo se mai qualcuno mi avesse fatto lo stesso rimprovero, ma che lo trovavo perfettamente fondato e credevo che si potesse rimproverare a questo punto un difetto di verità. Ma, aggiungo, che il poeta è forse scusabile di ricorrere ad un artificio che non è facile da scoprire, per produrre certi effetti, ai quali non sarebbe arrivato per una via semplice e naturale.

L’Imperatore sembrò essere della mia opinione; ritornò al dramma e fece riflessioni di grande senso, da uomo che aveva osservato con molta attenzione, come un giudice criminale, la scena tragica e che aveva profondamente sentito che il teatro francese si era allontanato dalla natura e dalla verità. Giunse ai pezzi fatalisti e li disapprovò. Appartenevano a un tempo di tenebre. Il Destino è politica, diceva.

Si rivolse di nuovo a Daru e gli parlò di contributi. Tornai indietro di qualche passo e mi trovai vicino alla torretta dove avevo passato, più di trent’anni prima, molte ore di piacere e anche di tristezza, ed ebbi il tempo di notare che alla mia destra, verso la porta d’ingresso, c’erano Berthier, Savary e qualcuno ancora. Talleyrand si era allontanato.

Si annuncia il maresciallo Soult. Un personaggio di alta taglia, dai capelli abbondanti. L’Imperatore lo interroga su alcuni spiacevoli avvenimenti della Polonia; ho il tempo di gettare gli occhi intorno a me nella sala e pensare al passato. C’erano ancora i vecchi arazzi, ma i ritratti erano spariti. Ѐ stato appeso quello della duchessa Amelia, con una mezza maschera nera in mano, con tutti gli altri ritratti di governatori e familiari.

L’Imperatore si alzò, venne dritto a me e, con una specie di manovra, mi separò dalle altre persone che formavano la fila dove mi trovavo. Voltava le spalle a queste persone e mi parlava moderando la sua voce. Mi chiese se fossi sposato, se avevo figli e altre cose relative alla mia persona.

Mi interrogò anche sui miei rapporti con la casa dei principi, sulla duchessa Amelia, sul principe, sulla principessa. Risposi in modo naturale. Sembrava soddisfatto, e tradusse queste risposte nella sua lingua, ma in termini un po’ più decisi di quanto avessi potuto fare io.

Devo anche notare che in tutta la nostra conversazione avevo ammirato in lui la varietà delle forme approvative, perché raramente ascoltava stando fermo. O faceva un cenno meditativo e diceva ‘’sì’’ o qualcosa del genere; o, se aveva enunciato qualche idea, aggiungeva il più delle volteCosa ne dice il Signor Goethe? Colsi l’occasione per chiedere per gesto al ciambellano se potessi ritirarmi e, in risposta affermativa, mi congedai immediatamente.