Mercoledì 18 novembre 1812. L’imperatore, partito alle 5 del mattino da Liady, si stabilì alle 17:00 nel castello della principessa Lubomirska, a Doubrowna, a un centinaio di chilometri ad ovest di Smolensk e a 500 da Mosca. Napoleone chiese se ci fossero notizie del maresciallo Ney. Nessuno rispose. Si precoccupò molto…
E infatti, dal 13 ottobre 1812, l’esercito francese prese la via del ritorno verso la Francia. Il maresciallo Ney in retroguardia, con il compito di rallentare l’avanzata dei russi. Il 17 novembre, sotto raffiche di neve, tormentato dai cosacchi, perse il contatto con la Grande Armata.
- Leggiamo “Il Maresciallo Ney”, di Claude Desprez
Non potevamo più vivere a Smolensk, saremmo stati circondati. Mentre Kutusoff continuava a seguirci da dietro e sui lati, altri due eserciti russi avanzavano, uno dal nord e l’altro dal mezzogiorno, per riunirsi sulla Beresina e tagliarci la strada verso la Francia. Non c’era tempo da perdere, se si voleva arrivare prima di loro: la ritirata continuò. Ney fu incaricato di coprirla. Aveva solo due o tremila uomini: gli si aggiunse un reggimento di Illiri e la divisione Ricard, del corpo di Davoust.
L’imperatore e la guardia avevano lasciato Smolensk il 14 novembre, il principe Eugenio il 15 e Davoust il 16. Ney venne incaricato di seppellire le munizioni, di distruggere i furgoni e le automobili che non si potevano portare via e di gettare i cannoni nel Dniéper, infine di minare e di far saltare le vecchie mura della piazza. Non poté partire fino al 17. Quel giorno, durante la marcia, udì in lontananza forti detonazioni, ma non se ne preoccupò. Tutto l’esercito lo precedeva: non doveva temere di trovare un ostacolo davanti a sé.
Tuttavia, arrivato la sera al villaggio di Koritnya, apprese che il giorno prima e lo stesso giorno il principe Eugenio e Davoust erano stati costretti ad aprirsi la via di viva forza.
Il 18 novembre avanzava respingendo a colpi di fucile i cosacchi che continuavano ad assalirlo, quando, verso le due del pomeriggio, la divisione Ricard, che marciava in testa, fu assalita da truppe e violentemente riportata indietro. Ney accorse, riportò l’ordine nei ranghi e, chiamandolo alle altre due divisioni, si mise in marcia pronto a combattere. Si avvicinava alla piccola città di Krasnoë: non poteva fare altro che attraversare un burrone, quando, al momento di scendere, dal bordo opposto, scoppiarono cento pezzi di cannone su di lui.
Attraverso la nebbia che lo avvolgeva, Ney vide sulle colline che si ergevano di fronte un intero esercito in posizione. Senza scoraggiarsi, mise in battaglia i suoi 6000 uomini, mise in batteria tutto ciò che aveva di artiglieria, sei pezzi di cannone e diede il segnale dell’attacco. I suoi soldati, addestrati in colonne per reggimenti, scesero nel burrone, lo attraversarono, rimontando l’altro versante e arrivando, con l’arma al braccio, in vicinanza dei cannoni russi. Ma lì, accolti dalla mitraglia, abbordati alla baionetta dalla fanteria, caricati dalla cavalleria, vennero rovesciati nel burrone, perdendo la metà degli uomini.
Mentre Ney li riformava dietro la sua riserva, si presentò un parlamentare. Un aiutante di campo di Kutusoff. Ney gli disse che è separato dall’esercito francese dall’intero esercito russo. “Ho davanti a me 60.000 uomini. Se ne dubita, che mandi uno dei suoi ufficiali ad assicurarsene.” Il generale Kutusoff decise di riservare per loro il rispetto che meritano, alla condizione di deporre le armi.
A queste parole Ney, guardandolo con sdegno gli rispose: “Un maresciallo di Francia non si arrende!” e, facendosi pretesto per un colpo di cannone sparato dai russi, diede l’ordine di tenere prigioniero il parlamentare. Scese la notte. Ney fece voltare le spalle ai suoi soldati e li riportò a Smolensk. Ognuno si chiedeva quale fosse il suo progetto, ma nessuno esitò, poiché avevano fiducia in lui. Tuttavia Ney, vedendo vicino a lui uno degli ufficiali del suo personale, gli disse a mezza voce:
-Non stiamo messi bene.
– Cosa faremo?
– Passaremo il Dniéper.
– Dov’è il cammino?
– Lo troveremo.
– E se il Dniéper non è congelato?
– Lo sarà.
Così il maresciallo vuole raggiungere il fiume, superarlo e, al riparo da questa barriera, sfilare per raggiungere l’esercito francese. Il Dniéper scorre sulla sinistra, ma non si sa esattamente dove né a quale distanza. Come trovare il fiume nelle tenebre, dalla neve, dalla pioggia che comincia a cadere, senza strade, senza indicazioni, attraverso i campi? Ney, in una piega di terreno, sente il ghiaccio sotto i suoi passi: si ferma, rompe il ghiaccio e si avvicina una luce. Sotto il ghiaccio c’è acqua che scorre da destra a sinistra, cioè in direzione del Dniéper. Probabilmente è uno dei suoi affluenti, basta seguirlo.
Scendendo il ruscello, trova prima un villaggio: ci si ferma e Ney fa accendere grandi fuochi per far credere ai russi che ha intenzione di passarci la notte, poi si rimette in marcia. Gli portano un contadino zoppo, l’unico abitante trovato nel villaggio. Ney lo fa camminare in testa alle colonne e, guidato da lui, raggiunge il bordo del Dniéper: è congelato! Questo è un favore prezioso che la fortuna concede al maresciallo: bisogna affrettarsi a approfittarne, ma molti uomini feriti, malati, smarriti, sono rimasti indietro. Ney non vuole partire senza di loro. Egli concede due ore per il raduno e, nel frattempo, sdraiato nel suo cappotto sulla neve, dorme in un sonno profondo.
Verso le cinque del mattino inizia il passaggio. Il ghiaccio è poco spesso e scricchiola sotto i piedi: gli uomini passano su una sola fila e a distanza gli uni dagli altri: pochi cavalli attraversano il fiume, ma non le automobili. Tremila uomini sono dall’altra parte del Dniéper. Sulla riva sinistra restano solo alcuni uomini, attaccati a dei fuochi da bivacco dai quali è impossibile staccarli. Ney dà il segnale di partenza.
Si sorprende dapprima un posto di cosacchi addormentati; si arriva poi a due villaggi i cui abitanti fuggono nei boschi, senza avere il tempo di portare qualcosa con sé. I soldati di Ney trovano del cibo nelle case. Si abbandonano alla gioia che causa un po’ d’abbondanza dopo tante privazioni. Si sentono i cosacchi irregolari e i cosacchi regolari di Platow, formati in squadroni e abituati a tutte le manovre della cavalleria. Hanno con loro pezzi di cannone montati su slitte che portano rapidamente ovunque sia necessario.
Ney, per rispondere loro, ha solo i suoi fucili e qualche cartuccia; rimane in posizione fino a sera. I cosacchi riempiono i boschi su entrambi i lati della strada. Ney li insegue e si avvicina al Dniéper. Lungo il fiume la strada è più difficile, il terreno è più accidentato, i burroni sono più profondi, i ruscelli portano più acqua, ma lì almeno si è protetti da un lato.
Ney avanza faticosamente, quando all’uscita trova i cosacchi stabiliti su una collina che sbarra il loro cammino. Ney cammina sui cannoni, costringe i nemici a fuggire, lasciando il passaggio libero. Il giorno dopo esce dal bosco e sbocca in una vasta pianura. È lì che Platow spera di annientare la piccola truppa di Ney.
Platow lo circonda. Venti volte i soldati di Ney, sfiniti dalla fatica, dalla fame e dal freddo, stanno per gettare lì le loro armi e abbandonarsi alla mercé dei cosacchi; venti volte uno sguardo, una parola del maresciallo li rianima e resistono e continuano a camminare sotto i proiettili, sotto la mitraglia, sotto i proiettili.
Tuttavia, Ney ritiene necessario creare un diversivo. ” Generale -disse a uno dei suoi luogotenenti- voi rimarrete qui, là morirete: l’onore della Francia lo vuole.” Condividendo la sua piccola truppa, ne lascia metà sull’altezza e con il resto si dirige verso un villaggio che vede. Quando vi si stabilisce, l’altra divisione si unisce a lui. Platow cercò di assediarlo, ma Ney si difese per cinque ore e i cosacchi, non potendone più, si stabilirono di fronte a lui.
Alle nove di sera Ney scappò silenziosamente, scivola nei boschi e camminando fino a quando la sua avanguardia incrociò una pattuglia: “Chi vive!” In risposta: “Francesi!” Era l’avanguardia del principe Eugenio che, avvertito da un ufficiale polacco che Ney aveva inviato la mattina ad Orcha, gli veniva incontro. I soldati si gettarono tra le braccia gli uni degli altri, piangendo.
Quando Napoleone apprese che Ney, che credeva perduto, era sfuggito ai russi: “Fosse possibile! – disse- Ho 200 milioni nelle cantine delle Tuileries, li avrei dati volentieri per salvare questo coraggioso Ney!”
Ma dei 6000 uomini che il maresciallo contava, uscendo da Smolensk, ne riportò con sé solo 1500…