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15 DICEMBRE 1840 : L’IMPERATORE TORNA A PARIGI

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15 DICEMBRE 1840 : L'IMPERATORE TORNA A PARIGI

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Dicembre 15, 2022    
12:00 am

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Il barone Putigny, figlio di un contadino poco istruito, di animo fresco e semplice, ha lasciato sei vecchi quaderni, devotamente conservati nella sua famiglia, raccontando ingenuamente ventiquattro anni di guerre imperiali.

1804, viene scelto come portabandiera per assistere all’incoronazione dell’Imperatore a Notre Dame e alla distribuzione delle Aquile al Campo di Marte. Ad Austerlitz salva la sua bandiera immergendosi sotto i proiettili in uno stagno ghiacciato. Dopo la vittoria, una voce lo chiama e gli chiede di avvicinarsi, riconosce la voce di Napoleone: “Vai a pesca con la tua bandiera, andiamo, rassicurati, è ancora più bello di prima, sei un coraggioso, ti do la stella della mia Legione d’Onore”. A Eylau un proiettile gli rompe la pipa in tasca e un altro gli fa male al polpaccio.

Ratisbona, primo ufficiale a scalare le mura, seguito dai suoi uomini. Barone dell’Impero. A St Amand fu gravemente ferito. Rifiutando di farsi fasciare il braccio destro in sciarpa, continua a combattere. L’indomani l’Imperatore si rivolge a lui: “Ecco un braccio in meno al mio servizio. Ma questo non ti impedisce di servirti dell’altro. Ti nomino capo battaglione e ufficiale della Legione d’Onore”. Poi Waterloo e il licenziamento. Jean-Marie Putigny morirà il 5 maggio 1849, anniversario della morte dell’Imperatore.

• Putigny è presente al Ritorno delle Ceneri e ci dà la sua testimonianza

Estratto da “Il Grognard Putigny, Barone dell’Impero”, edizione Copernic

Scendo dall’auto nei pressi del ponte di Neuilly. A duecento passi di là una piccola nave è appena attraccata al molo della Senna. È lì, nella sua bara. La mia emozione è così intensa, le sensazioni, i ricordi si susseguono a una tale velocità che avanzo come un automa, non vedendo altro che questa scatola nera sul ponte della nave: Lui.

Ma devo aspettare molto prima di potermi avvicinare e poi ritrovarmi sul molo in mezzo ad un esercito di redivivi: volti rugosi, sagome piegate con uniformi sbiadite, di ogni grado e di ogni arma. Con esitazione riconosco alcuni compagni e, guardandoli meglio, scopro attraverso di loro quello che ora sono diventato: un vecchio uomo…

Il giorno è passato da tempo. Le raffiche del vento, soffiando lungo il fiume, allungano le fiamme delle torce accese presso l’Imperatore e ravvivano i fuochi attorno ai quali cerchiamo di riscaldarci un po’. Noi, i veterani della Grande Armata, tossendo e tremando, vogliamo vegliare su di Lui durante la prima notte del suo ritorno in Francia.

Con una decina di gradi sotto zero, nonostante i gilet di lana, i miei reumatismi russi si svegliano, le mie braccia e le mie spalle sono contorte dal freddo. Non mi sento più i piedi né le dita delle mani, le orecchie mi fanno male. Per mancanza di legna i fuochi si sono spenti. Posso proteggermi, un po’, dal gelo stando contro una delle colonne dell’unico edificio esistente sulla banchina, una costruzione di legno sormontata da un frontone molto alto sotto il quale viene rimessa, prima dell’alba, un’enorme macchina: il carro funebre imperiale.

Le ore, i minuti si susseguono senza fine… Alla fine è giorno. Alle nove, dopo una raffica d’artiglieria, suonano le campane: i marinai della nave con la bara attraversano la passerella; l’Imperatore è di nuovo tra noi, sul suolo di Francia. Dimentico il freddo e i miei dolori… Lacrime scendono sulle mie guance, mentre la bara è posta nel carro funebre e si forma il corteo.

C’erano posti per tutti, per gli ufficiali, per il nuovo esercito, per i funzionari, i pivelli che non lo conoscevano, per i loro padri che lo avevano tradito o combattuto contro di lui.

Ma nessuno si era preoccupato di noi, non aveva pensato che i suoi vecchi compagni, i suoi fedeli, gli Imperiali, come si dice, sarebbero venuti da ogni angolo del paese, con un solo slancio, per accompagnarlo alla sua ultima dimora. Fu solo a seguito di una delegazione di sindaci, consiglieri generali e altri piccoli civili che ci fu permesso di camminare, un’ultima volta, dietro il nostro Imperatore. Dopo la notte insonne, a digiuno da ieri pomeriggio, sembra che faccia ancora più freddo. La salita del ponte da Neuilly all’Etoile è, per la maggior parte di noi, un calvario. 

Non riesco a respirare. Le mie gambe sono di piombo, i miei piedi doloranti, ma con tutta la mia volontà, li metto l’uno davanti all’altro applicando tutto me stesso a camminare dritto, rifiutando che mi si sostenga, nonostante che ad ogni passo rischi di cadere. Su questa strada inciampiamo nelle buche e nei solchi dove il carro si impantana più volte. 

Anche se nevica poco e ci sono solo pochi chilometri da percorrere, questa marcia funebre mi ricorda Austerlitz per lo sforzo e la Russia per il freddo: non ho più trent’anni! Sono vecchio ora e l’Imperatore è morto. 

«Viva l’Imperatore!» Questi ripetuti clamori sgorgano dalla folla immensa, tra la quale camminiamo da più di due ore. 

Questa volta non credo alle mie orecchie, ma sento gonfiarsi il mio cuore poiché, in quello dei francesi, l’Imperatore è ancora vivo…