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17 GENNAIO 1816: NASCITA A SANT’ELENA DI ARTHUR BERTRAND

17 GENNAIO 1816: NASCITA A SANT'ELENA DI ARTHUR BERTRAND

Quando

Gennaio 17, 2023    
12:00 am

Event Type

Il 20 ottobre 1816, Bertrand, sua moglie e i suoi tre figli, Napoleone, Hortense ed Henri, si trasferirono proprio di fronte a Longwood House, in una residenza che fecero costruire.

E il 17 gennaio 1817, Fanny dà alla luce un quarto figlio, Arthur. Presenta il suo bambino a Napoleone. È, dice, “il primo francese ad entrare a Longwood senza il permesso del governatore”.

Questo bambino sarà molto amato da Napoleone. Più tardi, Arthur, che farà il viaggio con La Belle Poule per riportare in Francia le ceneri dell’Imperatore, scriverà i suoi ricordi di Sant’Elena. Ammette di averne conservato pochissimo, ma alcuni gli sono rimasti perfettamente incisi.

• Leggiamo prima di tutto Gourgaud

Venerdì, 17 gennaio – Alle 3 del mattino, la signora Bertrand sente dei dolori, veniamo a svegliare Poppleton e O’Méara, ma ci vogliono due ore prima di poter mandare in città a cercare il Lewinston. Alle 6:30 arrivano. La signora de Montholon è già sistemata a casa della signora Bertrand, che è a letto, ma parla come al solito.

All’1:30, l’Imperatore riceve Balcombe, mentre Hudson Lowe va a parlare con O’Merara. Alle 2:30 la signora Bertrand partorisce un bambino: succede troppo velocemente, ha una perdita considerevole, si sente male più volte ed è anche in pericolo per un po’. Vedo il bambino, che è gentile e pesa una dozzina di libbre…

• Leggiamo ora i ricordi di Arthur Bertrand


Il giardino che rappresentava gli hobby dell’Imperatore e dove veniva a passeggiare i suoi tristi sogni, era spesso devastato dai buoi della Compagnia, che scappavano e venivano a mangiare o le sue piante o i suoi fiori. Se ne lamentava, ma inutilmente. Una mattina suonavo vicino a lui, quando vide uno di questi buoi in mezzo al giardino. Mi disse di andare a chiedere il suo fucile; si portò indietro e il bue rotolò sul prato. La caduta di questo enorme animale mi fece tremare: mi strinsi contro le ginocchia dell’Imperatore, guardandolo, tutto stupefatto.

Napoleone mi sembrò un uomo di una forza prodigiosa. Da parte sua fu colpito dallo stupore estremo e dall’effetto che aveva prodotto su un bambino la morte del bue grasso. Mia madre mi disse che ne aveva parlato più volte. In seguito a questo incidente, che non è mai uscito dalla mia memoria, i buoi furono meglio custoditi; la lezione fu breve, ma ebbe il suo effetto.

Un abitante di Jamestown aveva portato a Longwood un cavallo arrivato dall’isola di Giava, cavallo molto piccolo e molto bello. Chiedeva cinquanta napoleoni, cosa di cui non mi occupavo, ma il cavallo era di mio gradimento e andai a dire all’Imperatore che volevo un cavallo. Ben presto seppe in quale occasione gli feci questa richiesta, e mi disse che il giorno dopo, a mezzogiorno, sarei stato soddisfatto.

Al colpo di cannone, il giorno seguente, corsi dall’Imperatore che dormiva. Mr. Marchand non voleva farmi entrare, ma, temendo che le mie grida lo svegliassero, mi fece sedere su uno sgabello, ai piedi del suo letto. Napoleone, al suo risveglio, fu stupito di vedermi. Gli dissi che il colpo di cannone era stato sparato e che aspettavo il mio cavallo. L’Imperatore chiamò Mr. Marchand, lo incaricò di prendere un rotolo dalla cassetta e pagare. Da allora, ogni giorno, lo cavalcavo. Per tutti Napoleone era un grande uomo, per me era solo buono, ma era abbastanza e lo amavo.

Tutto orgoglioso del mio cavallo, gli speroni mi sembrarono necessari per completare il mio costume da scudiero. Così tornai dall’Imperatore e gli chiesi degli speroni d’oro. Chiedimeli in francese, mi disse l’Imperatore, e te li darò. A più riprese ribadii la mia richiesta, la risposta fu la stessa e non ebbi nessuno sperone. Allora parlavo solo la lingua inglese.

Per i bambini il Capodanno è il giorno più bello dell’anno. Anche per noi, anche a Sant’Elena, era un giorno atteso con impazienza. Il sig. Pierron, il maggiordomo dell’Imperatore, che era stato il suo capo d’ufficio, eccelleva in tutte le parti della sua arte e faceva scatole affascinanti, il cui interno, diviso in scomparti, era pieno di ogni sorta di dolci squisiti: caffè, caramello, arance. L’Imperatore era felice di mandarceli e noi di mangiarli.

Una mattina [Napoleone] chiama mia sorella, fa venire il dottor Antommarchi e gli dice di forare subito le orecchie di Hortense. Il dottore si scusa perché non ha uno strumento adatto; l’ago del suo kit è troppo piccolo. Allora l’Imperatore fa portare i lardelli dalla cucina e dice al dottore di sceglierne uno; poi mette Hortense sulle ginocchia, e le pizzica fortemente le orecchie, affinché non senta la puntura. Non poté fare a meno di piangere. Subito mi trovo a gridare e, non volendo vederla soffrire, mi chiudo gli occhi con il braccio nel modo più comico, stando a quello che sostiene mia sorella. L’Imperatore stesso lega gli orecchini di corallo, conduce Hortense a sua madre e pochi giorni dopo le dà un altro paio. Crediamo che mia sorella li tenga entrambi.

L’Imperatore, negli ultimi tempi della sua vita, non poteva uscire dal suo appartamento così ristretto; tuttavia l’esercizio era necessario per lui. Immaginò di far stabilire, in un salone, un’altalena sostenuta al centro da un perno, sollevato di tre o quattro piedi sopra il pavimento. Si poneva a un’estremità della leva e uno dei suoi ufficiali all’altro. Così si dava qualche movimento. Spesso faceva mettere mia sorella e due dei miei fratelli o me all’altra estremità del dondolo e si divertiva a darci forti scosse che a volte ci gettavano giù. Era allo stesso tempo esercizio, e una piccola distrazione al suo dolore…