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L’audacia sul romanzo ”Figlia di frontiera”

”Pace – è stato il prologo di Virginia Farina – è la parola delicata, scandalosa, urgente: oggi parlare di pace è audace. L’etimo unisce le parole stelo, stilo, stele per definire l’entità immobile. Il crinale alpino, già coperto dal commercio internazionale coordinato dagli indigeni, inciso sul romanzo d’esordio ”Figlia di frontiera” è vivo e lambito dal corteo di clandestini nomadi per sfuggire ai gendarmi. Il codice antico di montagna sancisce di proteggere chi s’è perduto e, così, la vecchia guardia alpina Touni soccorre la bimba neonata e abbandonata a Barmes, il villaggio frontaliero abbarbicato sulle Alpi occidentali e sfidato dalla popolazione autoctona diradata, dal transito di migranti disperati e respinti sul confine a Ventimiglia. La neonata nera di frontiera sfuggita dagli stenti letali alla mamma arrivata sul versante francese riesce, cosi, a domare il gelo però la comunità nativa insediata al borgo d’alta quota è scissa: c’è chi è incline a proteggere la vita e chi preferisce punire la clandestinità. L’uomo mosso dal coraggio esibito dal gesto, enorme o minuscolo, è attraversato dalla linfa di futuro e di pace al pari di steli d’erba contaminati e, perciò, efficaci per nutrire e rigenerare il terreno”.

La prosa nitida esalta l’odissea antropica intrisa di fragranza rustica (fieno e letame).