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Napoleone e l’esilio: la religiosità solida e la crudeltà di Albione

”Muoio nella religione cattolica, apostolica e romana in cui nacqui oltre 50 anni fa”: il preludio al testamento prodotto dall’Imperatore Napoleone segregato sull’isola di Santa Elena è soltanto l’apogeo al viaggio sacro concluso dal condottiero còrso sul globo terracqueo. L’ansia di onorare la liturgia cattolica è stata soddisfatta dall’abate Antonio Buonavita arrivato a Longwood House (1819) per recitare la messa domenicale, dall’estrema unzione somministrata dall’abate Ange Paul Vignali e dal planning chiarito per officiare le esequie.

La tendenza è stata abbinata alla metamorfosi vissuta dall’agnostico sedotto dalla scommessa di Pascal: l’esegesi debole è stata smentita dal clima di rinascita religiosa indotta dall’opera apologetica ”Génie du Christianisme, ou beautés de la religione chretiénne” scritta dal 1795 al 1799 dal visconte François-René de Chateaubriand (Saint-Malo, 4 settembre 1768 – Parigi, 4 luglio 1848) e dall’ordine etico risorto dagli Anni ’30 e ’40 al secolo XIX. Robert Augustin Antoine de Beauterne (1803 – 1846) scrisse più fascicoli per squalificare il dubbio sulla religiosità solida di Napoleone esibito dall’entourage francese trasferito sull’isola atlantica. La linea difesa dall’autore è stata promossa dalle memorie prodotte dal Generale Carlo Tristano Montholon, dal segretario Louis Marchand, dal medico Francesco Carlo Antommarchi e antitetiche allo scetticismo espresso dal conte Emmanuel de Las Cases e altresì dal Generale Gaspard Gourgaud.

“L’orma più nobile della divinità – dichiarava Beauterne – è scritta e riflessa in questo individuo che aveva la missione di proteggere e realizzare gli scopi del paradiso sul mondo. Fu la Provvidenza che attirò su di lui ogni sguardo e gli spianò la strada verso l’elevazione inaudita, la guarigione degli spiriti, la riforma di costumi, la società rigenerata. La critica all’onestà sulla fede religiosa dell’imperatore è più falsa che reale, più ideale che positiva. Napoleone s’è umiliato e riconciliato a Dio, s’è annientato alla presenza divina tanto quanto s’era innalzato dirimpetto agli uomini. Questo grande uomo è morto penitente nelle braccia della religione”.

Il testamento custodisce altresì l’eredità politica trasmessa al mondo ignavo dirimpetto alla tragedia colossale patita dall’uomo recluso e oppresso dagli Stati più potenti iscritti all’alleanza antinapoleonica.

”Lego l’obbrobrio e la vergogna della mia morte alla famiglia reale d’Inghilterra”: l’Imperatore dei Francesi, deperito dalla patologia al fegato acuita dal clima tropicale sull’isola di Santa Elena e lambito dalla morte incrociata sul campo di 60 battaglie, dettava l’epilogo di 60mila lettere diplomatiche per salvare altresì l’immortalità minata addirittura sul tavolo per l’autopsia pretesa dal Generalissimo còrso.

”Se perdo la coscienza, non dovete comunque permettere l’accesso al medico inglese. Rimarrete fedeli alla mia memoria e non farete alcuna cosa che possa offenderla. Ho messo alla base di tutte le mie leggi e le mie azioni più rigidi principii. Purtroppo le circostanze erano gravi: io non potei lasciare primeggiare l’indulgenza e dovetti procrastinare molte cose buone. Vennero allora i rovesci. Non ho potuto mollare l’arco e, così, la Francia è rimasta senza le istituzioni liberali che le avevo destinato. Ma essa mi giudica con l’indulgenza e valuta le intenzioni, ama il mio nome e le mie vittorie: imitatela! Siate fedeli alle opinioni già difese, alla gloria già conquistata: oltre ciò non vi è che vergogna e confusione”.

5 maggio 1821, 17,49: il sole tropicale è sceso sul mare e il cuore di Napoleone è muto. Il corpo imbalsamato e coperto dal mantello blu indossato a Marengo giaceva sul lettino da campo di Austerlitz.

Sir Hudson Lowe alias il governatore inglese a Santa Elena negava di trasferire la salma imperiale sul Vecchio Continente e l’iscrizione Napoleone sulla lastra tombale per frenare l’espansione al mito noto di Alessandro, Cesare, Federico. La tomba restava, allora, anonima però la saga cresceva altresì sul Contromemoriale (1830) di Lowe.

”Quando fui informato da un artista sull’isola delegato dai Francesi a creare la placca d’argento per il feretro di Napoleone dichiarai al conte Montholon che essa non poteva essere posata con l’epitaffio: il divieto era stato stabilito dalla monarchia inglese. L’ostinazione, ridicola e meschina, ignorava l’ubiquità dell’epigrafe di Napoleone: per obliare la potenza prodigiosa di un uomo che ne aveva lasciato tracce dalle Piramidi al Cremlino sarebbe stato necessario strappare le pagine di storia, eliminare le memorie di cento milioni di uomini, abbattere le statue e gli archi di trionfo”.