Una mano tra torso e ventre coperta dal gilet o dalla giacca: questa postura diffusa sull’effigie ufficiale di personalità vissute a cavallo di secoli scorsi evoca il gesto unito alle orazioni proferite dal retore ateniese Eschine oppure l’intenzione di estrarre qualcosa dalla tasca mai cucita ai calzoni altresì all’epoca napoleonica. Questo folclore ispirava il presbitero Jean-Baptiste de La Salle, santificato dal Papa Leone XIII (24 maggio 1900), a comporre l’opera ”Les règles de la bienséance et de la civilité chrétienne” (1702).
Il gesto è stato ripreso dal Generalissimo e dall’imprenditore Felice Bensa (Genova, 22 gennaio 1878 – 20 aprile 1963), autorità unite dal pianoro di Marengo. Correva l’anno 1906 e l’industriale ligure fondava la società anonima “Marengo” per produrre il solfato di rame, l’anticrittogamico per le viti. L’azienda fondata sul capitale di cinquecentomila lire poi elevato ai 15 milioni è cresciuta sul sito della battaglia prima quasi persa dalle milizie francesi e poi issata alla statura di trionfo nodale per l’epos napoleonico. Il polo chimico di Marengo, oggi attivo, è stato poi esteso alla produzione di acido solforico e concimi chimici: il boom di vendite preannunciava il secondo posto sul podio guidato dalla pasta Caffaro e il monopolio tedesco di canfora artificiale coperto dalla produzione italiana.
Bensa, presidente di Confindustria Alessandria (1927 – 1932) e fondatore di “Portland-Casalesi”, l’azienda monferrina produttrice di cemento e calce costruita sul capitale di 1,5 milioni di lire poi elevato ai 20 milioni, è stato senatore del Regno d’Italia alla XVIII legislatura (20 aprile 1929 – 19 gennaio 1934).