• Leggiamo, di Férdéric Masson, Napoleone a Sant’Elena
Alle cinque e cinquanta minuti scoppia il colpo di cannone di ritirata, il sole scompare, l’imperatore è morto.
Il primo, il Gran maresciallo si avvicinò al letto e, con il ginocchio in terra, baciò la mano del suo padrone, e tutti dopo di lui, i servi secondo il loro ordine, le donne, i bambini, Bertrand che la madre ha fatto cercare, la figlia di Saint-Denis.
Il dottor Arnott è andato a informare l’ufficiale di prescrizione Grokatt, che constata la morte, poi arrivano due medici inviati dal governatore.
Seguendo gli ordini impartiti dall’Imperatore, gli esecutori testamentari si riuniscono per redigere i verbali e prendere conoscenza dei due codicilli in data 15 e 16 aprile, con i quali l’Imperatore testimonia la sua volontà quanto al luogo della sua sepoltura, fa ai suoi esecutori testamentari una donazione fittizia di tutto ciò che possiede, distribuisce tra i suoi servi i 300.000 franchi della sua riserva, e attribuisce a sua madre, alle sue sorelle, fratelli e nipoti, vari oggetti mobili, indipendentemente da quelli lasciati in eredità dal testamento.
Si redige allora il certificato di morte, che Bertrand redige come grande ufficiale della Maison, poi i processi verbali di esistenza del testamento e dei codicilli, e dei depositi affidati a Montholon, Bertrand e Marchand.
Montholon dà poi lettura di una lettera che l’Imperatore gli ha dettato, nella giornata del 29 aprile per essere, dopo la sua morte, indirizzata al governatore. -. Con questa lettera, in cui la data è stata lasciata in bianco, Montholon annuncia al governatore la morte dell’«Imperatore Napoleone» si offre di comunicare le sue ultime volontà, chiede quali sono le disposizioni prescritte dal governo britannico per il trasporto del corpo in Europa, nonché quelle relative alle persone della suite.
A mezzanotte, i quattro servitori, Marchand, Saint-Denis, Pierron e Noverraz fanno al corpo la sua ultima toletta, in presenza di Bertrand e di Montholon, e lo trasportano dal letto mortuario al secondo letto di campagna preparato per questo scopo e messo al posto di quello che hanno tirato fuori. Rimuovono la maggior parte dei mobili, avvicinano al letto due piccole console su cui posizionano oggetti della cappella. L’abate Vignali pose sul petto dell’imperatore un crocifisso d’argento.
«In questo stato l’Imperatore, dice Marchand, aveva la sua figura di console; la sua bocca, leggermente contratta, dava alla sua figura un’aria di soddisfazione e non sembrava avere più di trent’anni. » Più tardi, e soprattutto dopo due giorni, l’abbassamento della carne gli dava un’aria di vecchiaia e gli toglieva la sua bellezza.
• Saint-Denis, Ricordi del Mameluck Ali sull’Imperatore
Alle quattro del mattino, il poco riposo che avevamo fatto, fece scomparire completamente il sonno. Andammo vicino al letto. Il respiro che usciva dalla bocca dell’Imperatore era così debole che per un momento credemmo che non esistesse più. Ci avvicinammo alla luce: aveva gli occhi aperti, ma sembravano paralizzati; la bocca era un po’ aperta. Da quel momento non ci allontanammo più dal letto e, a momenti abbastanza ravvicinati, si davano al morente alcune gocce d’acqua che inghiottiva con difficoltà.
Tutto il giorno passò senza cambiamenti sensibili. I due medici, il Gran Maresciallo e la signora Bertrand, il generale Montholon, Marchand e le persone della casa erano in gran parte davanti al letto, e alcuni sul lato opposto; tutti avevano gli occhi fissi sulla figura dell’Imperatore, che non aveva altro movimento che il movimento convulsivo che gli dava il singhiozzo.
Era Antommarchi che, posto al capezzale del letto, dava un po’ d’acqua all’Imperatore per inumidirgli la bocca, prima con un cucchiaio, poi con una spugna. Spesso gli palpava il polso o la giugulare.
Verso la metà della giornata, i figli del Gran Maresciallo vennero a vedere l’Imperatore; credo che il maggiore, Napoleone, si trovò male. A parte alcuni momenti di assenza degli uni e degli altri per andare a prendere qualche cibo, tutti rimasero costantemente con l’Imperatore da cui presto la vita si sarebbe ritirata.
Infine, alle sei e dieci di sera, il 5 maggio, un minuto e mezzo dopo il colpo di cannone di ritirata, l’Imperatore spirò. Ogni respiro, che prima era stato regolarmente spaziato, divenne progressivamente e successivamente più lontano, e l’ultimo, più lento di quelli che lo avevano preceduto, non fu altro che l’espirazione di un sospiro prolungato. Invano aspettammo un’altra aspirazione e un’altra espirazione…
Ahimè! non restava dell’Imperatore che il corpo mortale!… In quel momento supremo, tutti gli occhi si riempirono di lacrime. Che triste e sublime spettacolo è la morte di un grande uomo come Napoleone! Se i suoi nemici ci fossero stati, anche i loro occhi si sarebbero bagnati e avrebbero pianto su questo corpo privo di vita.
Non appena tutti gli assistenti furono un po’ rimessi dalla loro dolorosa emozione, il Gran Maresciallo si alzò dalla poltrona e, come primo, baciò la mano dell’Imperatore e tutti senza eccezione seguirono il suo esempio. Allora scoppiarono i singhiozzi e le lacrime scorrevano con più abbondanza.
Durante i suoi ultimi giorni, l’Imperatore era rimasto costantemente nella stessa posizione: sdraiato sulla schiena, con la testa dritta sul cuscino, il braccio destro disteso sul letto, il braccio sinistro posto più spesso come il destro, con la differenza che a volte metteva la mano sul petto e che a volte questa mano teneva il cordone che era attaccato alle mele dai due montanti dello schienale del letto. Su quel cordone c’era il suo fazzoletto. Aveva le cosce divaricate e i tacchi stretti. L’Imperatore è morto senza la minima convulsione sensibile e senza la minima crisi; si è spento come si spegne la luce di una lampada.
Subito dopo il bacio della mano dell’Imperatore, il Gran Maresciallo, M. de Montholon, Marchand e l’abate Vignaly passarono nel parlatorio, dove Marchand consegnò a M. de Montholon il pacchetto contenente il testamento e i codicilli. Riconosciuti intatti i sigilli, l’abate Vignaly rientrò da solo nel salone e gli altri tre procedettero all’apertura delle varie buste. I sigg. de Montholon, Bertrand, Marchand vi si videro nominati esecutori testamentari. M. de Montholon fu nominato primo.
Con un codicillo particolare, l’Imperatore dava a ciascuno degli esecutori testamentari 50000 franchi e ordinava che fosse consegnato a ciascuno dei suoi servitori una somma più o meno grande, secondo le loro retribuzioni e il tempo del loro servizio, per provvedere al loro ritorno in Europa. Attraverso un altro codicillo, egli lasciava ai suoi esecutori testamentari il suo denaro, i suoi gioielli, argenteria, porcellana, mobili, libri, armi e tutto ciò che gli apparteneva a Sant’Elena.
Con lo stesso atto, desiderava che le sue ceneri riposassero sulle rive della Senna, in mezzo al popolo francese che aveva tanto amato. L’Imperatore aveva dato istruzioni per il suo funerale e aveva indicato il luogo dove voleva essere sepolto, se il governo inglese non voleva permettere che il suo corpo fosse trasportato in Europa.
Non appena l’Imperatore aveva smesso di vivere, il sig. Antommarchi gli aveva chiuso gli occhi e poco dopo gli aveva posto un fazzoletto sotto il mento, legato sulla testa, affinché la bocca, che era un po’ aperta, fosse chiusa. Una piccola contrazione che si era manifestata al labbro superiore rimase, lasciando vedere due o tre denti anteriori. La testa dell’Imperatore aveva un qualcosa delle belle medaglie antiche. Il busto era bello, le mani, che erano un po’ dimagrite, erano del modello più perfetto; sembravano belle mani da donna.
Non appena gli esecutori testamentari ebbero preso conoscenza del testamento e dei codicilli, entrarono nel salone. Il lampadario fu acceso. Tutti i francesi si schierarono a destra e a sinistra del letto e MM. Schort e Mitchell, accompagnati dall’ufficiale d’ordinanza, il capitano Crokat, che aveva sostituito da qualche settimana il capitano Nicholls, entrarono per constatare la morte; esaminarono, toccarono il corpo dell’Imperatore, dopodiché questi signori si ritirarono.
Al movimento seguì la più grande calma, la calma della morte. Due o tre servitori rimasero a vegliare. Tutte le altre persone andarono a casa. Era la prima notte che avremmo passato senza l’Imperatore. Io e Marchand eravamo stanchi; avevamo piena libertà di riposare, e nonostante ciò, il sonno non ebbe il potere di intorpidirci. Eravamo entrambi spinti nelle riflessioni più tristi e profonde.
Questa libertà, che avremmo avuto, sarebbe stata per noi, poveri servitori, un fardello pesante; meglio lo stato di dolce schiavitù in cui avevamo vissuto e al quale eravamo abituati. Finora non avevamo avuto alcuna preoccupazione per il futuro; qualcuno aveva pensato per noi, e per noi quel qualcuno, l’Imperatore, era e doveva essere tutto. Lui vivo, felice o infelice, avevamo appoggio, sostegno; morto, restavamo senza protezione e abbandonati a noi stessi. Dopo di lui, non c’era nessuno a cui potessimo relazionarci. Perdendo l’Imperatore, perdemmo tutto ciò che avevamo di più caro al mondo.
In serata, Marchand, mia moglie ed io eravamo soli in salotto, seduti sul divano che è vicino alla porta della sala da pranzo. Mia moglie aveva la figlia sulle braccia. Parlavamo a bassa voce dell’Imperatore, il cui corpo giaceva a pochi passi da noi. Marchand, non so quando, prende mio figlio, si dirige verso il letto, e gli fa posare le labbra sulla mano appena raffreddata dell’Imperatore…
Arrivata la mezzanotte, Marchand, Noverraz, Pierron ed io togliemmo il corpo e lo posammo sull’altro letto di campagna. Osiamo appena toccare questo corpo: ci sembrava che possedesse qualche virtù elettrica. Le nostre mani che erano tremanti lo toccavano solo con un rispetto misto a timore… O potere dell’immaginazione! E tuttavia l’Imperatore era freddo come il marmo.
Appena Noverraz ebbe fatto la barba, lo rimettemmo sul primo letto che era stato rifatto e posto tra le due finestre come prima; lo coprimmo con un lenzuolo che lasciava la figura scoperta.