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27 SETTEMBRE 1808: INIZIO DELL’INTERVISTA DI ERFURT

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27 SETTEMBRE 1808: INIZIO DELL'INTERVISTA DI ERFURT

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Settembre 27, 2022    
12:00 am

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Dal 27 settembre 1808 fino al 14 ottobre 1808, in Turingia, nella città di Erfurt, si riunirono gli imperatori francesi e russi. Oltre a Napoleone e Alessandro, furono invitati molti sovrani tedeschi,spettatori di questo incontro politico, quindici mesi dopo Tilsit.

 

• “Napoleone” di Jacques Bainville:

 

Affermare davanti all’Europa l’amicizia inalterabile dei due imperatori, affermarla con uno splendore che impone e poi il tempo di finire con questa Spagna”, è l’idea di Erfurt e del suo “parterre de rois. Manca solo l’imperatore Francesco, non invitato perché Napoleone chiese ad Alessandro l’impegno di non lasciare impunite le minacce dell’Austria. La Corte di Vienna inviò, comunque, i suoi migliori diplomatici.

Diciotto giorni di un teatro prestigioso, di gala, di una messa in scena sontuosa. Le comparse di Erfurt sono i vassalli della Confederazione germanica, tre dei quali devono la loro corona a Napoleone. A uno, per stupire la tavola, lancia il famoso: “Zitto, re di Baviera, guarda l’uomo vivo prima di occuparti dei suoi antenati”, che è teatro, ma non di Corneille: di Victor Hugo.

E allo stesso modo, gli piace dire davanti a questi principi, come un Ruy Blas: “Quando ero tenente di artiglieria…”; il “sollevamento in massa della tragedia”, diceva deridendo Metternich. Si serve di tutto e di tutti: commedia francese, cucina francese, grandi nomi della nobiltà francese; la vecchia, “ammirevole per rappresentare in un cortile” e non la nuova, “l‘idiota che non sa distinguere tra una duchessa di Montmorency e una duchessa di Montebello!”

L’imperatore ha il virtuosismo di un impresario. Non dimentica né Goethe né Wieland, li invoca per rendere omaggio alle lettere, a questa “cultura” di cui i tedeschi sono orgogliosi, perché è importante compiacere la Germania. Dispiega tutti i suoi doni di seduzione, tutte le risorse, forza, ricchezza, intelligenza. Erfurt deve essere un Campo del Drappo d’Oro più perfetto, per far dimenticare, laggiù, gli scacchi, Baylen e Cintra, la fuga ingloriosa del “re intruso”, l’abbandono del primo assedio di Saragozza, e la rimozione in massa, quella degli spagnoli, dei loro monaci e dei loro crocifissi.

Lo spirito di Erfurt non era più quello di Tilsit. Alessandro si è ripreso, il fascino agisce meno perché lo zar non ha più lo stesso interesse a lasciarlo agire. Anche lui, a modo suo, fa teatro.Davanti al Royal Parterre, Talma dice: “L’amicizia di un grande uomo è un dono degli dèi. Alessandro stringe la mano a Napoleone, gli dice: “Me ne accorgo ogni giorno.” Parola che non impegna a nulla, a meno che non sia a doppio senso, con un’allusione ironica all’altro “amico”, Carlo IV.

In famiglia, Alessandro si sfogava. Confidava a sua sorella Caterina: “Bonaparte mi prende per uno sciocco. Ride bene chi ride ultimo.” In un’altra lettera, a sua madre, spiega che dopo Friedland è stato necessario “entrare per qualche tempo nelle vedute della Francia” per “poter respirare liberamente e aumentare le nostre forze durante questo tempo prezioso”.

Napoleone sarà lo zimbello di Erfurt. Perché, dopo aver escluso Talleyrand dagli affari, lo ha richiamato all’attività? All’imperatore, sempre mutevole perché le circostanze cambiano continuamente, occorre stavolta, per questa operazione di consolidamento diplomatico, un uomo di collegamento, un diplomatico di vecchio regime e di “grande nome”. Talleyrand, a Erfurt, è stato accusato di tradimento.

Il suo tradimento consisteva nel fare una politica diversa da quella del suo padrone e nel rivelare alle potenze straniere le istruzioni che aveva ricevuto. In realtà, è un gioco molto complesso. Pur prendendo per sé delle garanzie per il futuro, Talleyrand si immagina che, più perspicace e più ragionevole di Napoleone, lo serva.

Allarmato dall’estensione delle conquiste, vuole applicare la sua “legge del possibile” a ciò che è da tempo, a ciò che prima del consolato era solo la ricerca dell’impossibile. Pensa che tutto questo, essendo sproporzionato, debba finire male e cerca di richiamare Napoleone alla misura, come se dipendesse da Napoleone. Non riuscendo a convincerlo, arrivò alla pericolosa idea di costringerlo a farlo.

L avrebbe calmato spingendo la Russia e l’Austria alla resistenza. La penetrazione di Talleyrand gli fece capire che l’imperatore si accecava all’alleanza russa e temeva che, per la fiducia che ne traeva, sarebbe andato ancora più lontano, con una divisione della Turchia, in avventure orientali.

Talleyrand era il più cieco dei due quando credeva nella possibilità di conservare le conquiste limitandole. Egli non riconosceva le esigenze di una lotta impari contro l’Inghilterra e la risoluzione dichiarata o segreta delle grandi potenze di riportare la Francia ai suoi vecchi confini e di non lasciargli nessuna delle sue annessioni.

Allora il gioco che Talleyrand credeva sottile diventò ingenuo. Quando consigliava ad Alessandro di “tenere testa” a Napoleone, era perché, scossa l’alleanza, Napoleone smettesse di credere che tutto gli fosse permesso. Quando informava Metternich dei piani dell’imperatore sull’Oriente e suggeriva alla corte di Vienna di sorvegliare sia Alessandro che Napoleone e di svolgere il ruolo di arbitro, credeva di continuare la politica di equilibrio che, prima della Rivoluzione, era stata quella della Francia. Non vedeva che le circostanze erano cambiate agli occhi delle altre potenze e che l’equilibrio era stato rotto dalla riunione del Belgio e della riva sinistra del Reno.

Alessandro e Metternich accolgono e incoraggiano le confidenze di Talleyrand. Se ne servono per i propri fini, concludendo che la fiducia in Bonaparte è diminuita, poiché, nel suo stesso entourage, un uomo investito di alti poteri non teme di avere con loro intelligenze, avvolte, avrebbe detto Bossuet, “nell’oscurità di un intrigo impenetrabile” e che, in previsione dell’indomani, assicurano già un posto al Congresso della pace futura.

Napoleone lascia Erfurt ingannato, tradito, non ammettendo che lo spirito di Tilsit era svanito; triste come dopo una festa mancata. Avendo, il giorno della partenza, camminato qualche tempo con Alessandro, lo si vide, dopo gli addii, tornare muto e pensieroso. Mai più i due imperatori si sarebbero rivisti. “Questi diavoli d’affari spagnoli mi costano caro”, diceva Napoleone facendo il bilancio di Erfurt.

Eppure, ha ottenuto ciò che, nell’immediato, gli importava. Ha rinnovato l’alleanza russa a un prezzo non troppo alto, poiché, meno imprudente di quanto Talleyrand pensasse, ha escluso la spartizione della Turchia, riservata a Costantinopoli. Se non si fida dell’Austria, pensa che non lo attaccherà subito. Ha carta bianca e, per tre mesi, le mani libere per ristabilire i suoi affari in Spagna.

Non chiede di più. Dice, dubitante, a Savary: “Ritirando l’esercito di Prussia, farò rapidamente l’affare della Spagna. Ma chi mi garantirà la Germania? Lo vedremo.”