Il 2 maggio 1808 gli uomini di chiesa predicarono l’odio di Napoleone. Non incarna forse la Rivoluzione? Non è forse questo Anticristo che ha scacciato i monaci dai loro monasteri, costretto i sacerdoti ad apostasia, profanato i luoghi di culto, proscritto la religione? Ha persino vietato il tribunale del Sant’Uffizio dell’Inquisizione!
Perfettamente integrati nella popolazione, sulla quale esercitano un controllo senza soluzione di continuità, “confondendo la causa di Cristo con quella dei Borboni”, i membri del clero, i principali avversari dei francesi, infiammano i fedeli con le loro predicazioni contro l’invasore eretico. Banditi dai loro conventi, i monaci si fanno portavoce e messaggeri della resistenza. Informando senza scrupoli le bande della guerriglia, a volte ne assumono il comando.
• Leggiamo le “Memorie del generale barone di Marbot. Genova -Austerlitz – Eylau”, Parigi, Hachette BNF, 1891
Nella giornata del 1º maggio, numerosi raduni si formarono nelle principali strade di Madrid e soprattutto nella Puerta del Sol, immensa piazza situata nel centro di Madrid. Alcuni dei nostri squadroni riuscirono tuttavia a dissiparli; ma il 2 al mattino, quando i principi stavano per salire in macchina, alcuni servitori della casa del Re escono dal palazzo gridando che il giovane don Francisco piange a calde lacrime e si aggrappa ai mobili, dichiarando che essendo nato in Spagna, non vuole lasciare questo paese… È facile capire l’effetto che produssero sullo spirito di un popolo fiero e libero dai sentimenti così generosi, espressi da un bambino reale, che l’assenza dei suoi due fratelli rendeva la speranza della nazione!…
In un istante, la folla corre alle armi e massacra spietatamente tutti i francesi che si trovano isolati nella città!… Poiché quasi tutte le nostre truppe erano accampate fuori Madrid, bisognava avvertirle, e non era facile.
Appena udii i primi colpi di fucile, volevo recarmi al mio posto presso il maresciallo Murat, il cui albergo era vicino al mio alloggio. Salii dunque precipitosamente a cavallo e uscii, quando il mio ospite, il venerabile consigliere alla Corte delle Indie, si oppose, mostrandomi la strada occupata da una trentina di insorti armati, ai quali ovviamente non potevo sfuggire. E mentre facevo osservare a questo degno uomo che l’onore esigeva che io sfidassi tutti i pericoli per andare dal mio generale, mi consigliò di uscire a piedi, mi condusse alla fine del suo giardino, aprì una piccola porta ed ebbe l’estrema cortesia di condurmi attraverso vicoli deviati, fino al retro dell’hotel del principe Murat, dove trovai un ufficio postale francese. Questo rispettabile consigliere, al quale probabilmente devo la vita, si chiamava don Antonio Hernandès; non lo dimenticherò mai…
Trovai il quartier generale in un tumulto estremo, perché sebbene Murat avesse ancora con sé solo due battaglioni e alcuni squadroni, si preparava a camminare risolutamente davanti alla rivolta; ognuno cavalcava a cavallo, e io ero a piedi! Mi stavo solo scusando… Ma presto, il generale Belliard, capo di stato maggiore, avendo ordinato di inviare dei granatieri per respingere i tiratori nemici che occupavano già i dintorni del palazzo, mi offrii per dirigerne uno attraverso la strada in cui si trovava l’hotel di don Hernandès, E appena la porta fu aperta, presi il mio cavallo e mi unii al principe Murat che stava uscendo.
Non ci sono funzioni militari più pericolose di quelle di un ufficiale di stato maggiore in un paese, e soprattutto in una città in insurrezione, perché, camminando quasi sempre solo in mezzo ai nemici per portare ordini alle truppe, è esposto ad essere assassinato senza potersi difendere. Appena fuori dal suo palazzo, Murat inviò ufficiali in tutti i campi di Madrid, con l’ordine di avvertire e portare le truppe da tutte le porte contemporaneamente.
La cavalleria della Guardia Imperiale, così come una divisione di dragoni, erano stabiliti al Buen Retiro; era uno dei campi più vicini al quartier generale, ma anche il viaggio era più pericoloso, perché, per arrivarci, Bisognava attraversare le due strade più grandi della città, quelle di Alcala e di San Geronimo, i cui incroci erano quasi tutte fiancheggiate da tiratori spagnoli. Inutile dire che questa missione era quella che presentava le maggiori difficoltà, il generale in capo non la diede ad uno dei suoi assistenti di campo titolari; fu a me che fu affidata e andai al grande trotto su un selciato che il sole rendeva molto scivoloso.
Fui accolto da numerosi colpi di fucile, ma la sommossa era appena iniziata, il fuoco era tollerabile, tanto più che gli uomini posti alle finestre erano mercanti e operai della città, poco abituati a maneggiare il fucile tuttavia, poiché il cavallo di uno dei miei dragoni era stato abbattuto da un proiettile, la folla uscì dalle case per sgozzare il povero soldato; ma i suoi compagni ed io precipitammo a colpi di sciabola sul gruppo di rivoltosi.
Difendendo il dragone, avevo ricevuto un colpo e due dei miei cavalieri erano stati leggermente feriti. Avevo l’ordine di guidare le divisioni nella piazza della Puerta del Sol, centro dell’insurrezione. Si mossero al galoppo. Gli squadroni della guardia, comandati dal famoso e coraggioso Daumesnil, marciarono in testa, preceduti dai mamelucchi.
La rivolta aveva avuto il tempo di crescere; ci fucilavano da quasi tutte le case, soprattutto dall’hotel del duca di Hijar, tutte le cui croci erano fornite di diversi abili tiratori; così perdemmo lì parecchi uomini, tra cui il terribile Mustapha, il coraggioso mamelucco che, a Austerlitz, stava per raggiungere il granduca Costantino di Russia. I suoi compagni giurarono di vendicarlo, ma per il momento non era possibile fermarsi; la cavalleria continuò quindi a marciare rapidamente, sotto una grandine di proiettili, fino alla Puerta del Sol. Vi trovammo il principe Murat alle prese con una folla immensa e compatta di uomini armati, tra i quali si notavano alcune migliaia di soldati spagnoli con cannoni a mitraglia contro i francesi.
Vedendo arrivare i mamelucchi che temevano molto, gli spagnoli tentarono tuttavia di resistere, ma la loro risoluzione non fu di lunga durata, tanto l’aspetto dei turchi spaventava i più coraggiosi!… I mamelucchi, lanciandosi a mano su questa massa compatta, fecero volare in un istante un centinaio di teste, e aprirono la strada ai cacciatori della guardia, così come alla divisione dei dragoni, che si mise a sciabolare con furia. Gli spagnoli, respinti dalla piazza, speravano di fuggire per le grandi e numerose strade che vi sfociano da tutte le parti della città, ma furono arrestati da altre colonne francesi, alle quali Murat aveva indicato questo punto di riunione. Ci furono anche in altri quartieri diversi combattimenti parziali, ma questo fu il più importante e decise la vittoria a nostro favore. Gli insorti ebbero da dodici a quindicimila uomini uccisi e molti feriti, e la loro perdita sarebbe stata infinitamente maggiore, se il principe Murat non avesse fatto cessare il fuoco […].
Le ostilità erano cessate quasi ovunque e, poiché la città era occupata dalle nostre truppe di fanteria, la cavalleria che ingombrava le strade ricevette l’ordine di rientrare nei suoi campi. Gli insorti che, dall’alto dell’hotel del duca di Hijar, avevano sparato così forte sulla guardia imperiale al suo primo passaggio, avevano avuto l’audacia di restare al loro posto e di ricominciare il fuoco al ritorno dei nostri squadroni. Questi, indignati alla vista dei cadaveri dei loro compagni, che gli abitanti avevano avuto la barbarie di tritare in piccoli pezzi, fecero mettere a terra un buon numero di cavalieri, che, dopo aver scalato le finestre del pianterreno, entrarono nell’albergo e corsero alla vendetta che è stata terribile!…
I mamelucchi, che avevano subito la perdita maggiore, entrarono negli appartamenti e massacrarono spietatamente tutti i rivoltosi che vi si trovavano; la maggior parte erano domestici del duca di Hijar. Non ne uscì nessuno e i loro cadaveri, gettati dai balconi, mescolarono il loro sangue con quello dei mamelucchi che avevano sgozzato la mattina.